Skip to main content
  • lepreux-du-haut-mekong-2
  • lepreux-du-haut-mekong-3
  • lepreux-du-haut-mekong-4
  • lepreux-du-haut-mekong-5
  • lepreux-du-haut-mekong-6
  • lepreux-du-haut-mekong-7

VENTIDUE ANNI TRA I LEBBROSI DEL TIBET (estratti)

Nelle prime ore del pomeriggio, improvvisamente la valle si apre; corne una visione ci appare Tatsienlu, ora Kang-ting.

La città di Tatsienlu, a 2596 metri sul mare, giace sepolta al fondo della valle al confluire di due torrenti, il Tar e il Tsen. Altre montagne la fiancheggiano, sicchè il sole la illumina solo per cinque o sei ore al giorno. Numerose valli vi sboccano intorno e la riempiono di suc- ni e di vapori.

Nei tempi passati non era difficile vedere in questa città sulla frontiera cino-tibetana, i tipi tibetani dell’Ima¬laia e del Koconor, i Ngolosekas del Nord, i turchestani ed i Lolo del Taleangsan. Tutti venivano per le carova¬ niere che avevano attraversato il «Tetto del mondo» e le montagne e i ghiacciai, portando i prodotti dei loro paesi tappetti, lana, pelli, musai°, ossa lavorate, legni ed erbe medicinali o aromatiche, oro e argento; ed ac¬quistavano tela, seta, cotone, the, tabacco, oppio ed altri generi. tutto questo ora non è che un ricordo di tem¬pi lontani che i vecchi cinesi e tibetani ricorclano con nostalgia.

La popolazione cino-tibetana s’aggira sui 15 mita a¬bitanti, i quali vivono d’accordo sulle rive del Tar che divide irr due la città in tutta la sua lunghezza; quattro ponti uniscono le due parti. Al centro un edificio domina tutte le altre costruzioni : è la cattedrale cattolica, dedi¬cata al Sacro Cuore di Gesit.

Monsignor Giraudeau, morio nel 1941, al nostro ar¬rivo aveva 86 anni di età, oltre 5o di Missione e 28 di episcopato, senza essere mai ritornato in Patria. Egli e il suo Coadiutore accolsero con gioia i figli di S. Fran¬cesco. «Siate i benvenuti nella mia Missione», ci disse. E ci benedi conducendoci nella sua Cappella a cantare il Magnificat in ringraziamento al Signore per il nostro arrivo. Era lieto, perché vedeva che il suo desiderio di dare ai lebbrosi un ricovero e un’assistenza, stava ormai per divenire realtà.(1)

 (2) MOSIMIEN

Verso mezzogiorno, la ville improvvisamente si a¬pre e sbocca nell’altipiano di Mosimien. Vi si arriva fi¬nalmente, verso sera, festosamente accolti dal missiona¬rio del luogo e dalla popolazione che grida festosamente e spara petarcli in segno di letizia per il nostro arrivo.

Eccoci finalmente arrivati sul luogo del nostro lava- ro, ciel nostro apostolato di caritit tra i lebbrosi. Il viag¬gio era stato lungo e faticoso, ma finalmente si era ar¬rivati al luogo dei nostri desideri : Mosimien. Entriamo in chiesa e ringraziamo il Signore col canto del Magnificat.
Mosimien, con il suo altipiano, sembra l’arena di un grandioso anfiteatro che ha per corona le montagne e si estende per dodici chilometri di lunghezza, ed uno nella sua maggior larghezza. Ai lati, due torrenti, che con lungo secolare lavoro si sono scavati il letto a oltre cen¬to metri di profondità. In estate, al tempo delle pioggie, questi torrenti si gonfiano paurosamente, si allargano, e addio ponti! Cosi non è raro che si resti anche per set¬timane intere isolati completarnente dal resto del monda. Allora, per rimediarvi, si tira da una riva all’altra una corda di bambit e su di essa, legati con delle corde ad un anello .di legno, passano uomini e cose… Esercizio davvero non troppo gradito!

 (3) Primo contatto con i lebbrosi

 Da parecchi giorni eravamo sui luogo, ma lebbrosi non se ne vedevano. Ci dicevano che ce n’erano molti, sparsi qua e là : si decise d’andarli a visitare.Quelli la cui malattia non era molto avanzata vive¬vano in famiglia, ma la maggior parte viveva in povere capanne di frasche o nelle grotte dei monti, qualcuno sotto grossi macigni, in vicinanza dei torrenti. Ad alcuni la famiglia portava un po’ di cibo, altri s’arrischiavano d’andare elemosinando, senza avvicinarsi troppo aile a¬bitazioni per timore d’essere presi a sassate. In una casa isolata una povera donna viveva in un porcile.

Fra Pasquale ed io si andava sovente, attraverso monti e valli, a visitare i lebbrosi nei loro rifugi portando loro qualche medicina e un po’ di elemosina. Aile volte si univa a noi anche il P. Placido, benchè fosse molto occupato nella direzione dei lavori del lebbrosario. Corne facevano compassione questi poveri infelici! Quai¬cuno era cosi sfigurato, che pià che un uomo sembrava un mostro e incuteva paura. La faccia gonfla, nodosa, solcata da rughe profonde, naso schiacciato e riassorbi¬to, labbra tumefatte e sanguinanti ; occhi infossati e ros¬si, quasi ciechi, con le orecchie deformate da numerosi lepromi un insieme ripugnante, spaventoso e pietoso.
Una voce rauca usciva dalle loro gole corrose, voce che ci narrava storie di dolori, sofferenze e disperazioni.

Sovente si vedevano braccia, mani, gambe o piedi mutilati, ulceri, piaghe, cancrene orrende e nauseanti, sulle quali non di rado pullulavano i verrai.
I poveri infelici ci guardavano sorpresi, quasi increduli. Sembrava loro impossibile che degli stranieri po¬tessero prendersi cura di loro ed a- marli, quando i
stessi familiari clesideravano e cer¬cavano talvolta la loro morte.

Alcuni di questi poveri infelici erano in condizioni veramente pietose. Ci piangeva il cuo¬re il doverli lascia¬re cosi abbandona¬ti, perciè si decise di preparare, in at¬tesa di meglio, del¬le camerette di mattone per da r ricovero almeno ai piil bisognosi.

Il primo lebbroso venne accolto nella festa della Presentazione di Maria Santissima, il 21 Novembre 1930. Certo Maria Santissima Consolatrice degli afilitti, cui il lebbrosario fu dedicato, per riconoscenza ai conti Costa di Polonghera di Torino, che in memoria di una loro fi¬glia defunta novizia delle Francescane Missionar.ie cli Ma¬ria furono i più insigni benefattori dell’ Opera, benedi questo inizio che coincise con la sua festa.

Questo primo arrivato ci fu portato da suo padre, poichè il malato non poteva camminare a causa di anchi¬losi aile ginocchia aveva 28 anni e da Io era lebhroso. Due volte, stanco di soffrire, aveva tentato di suicidarsi inghiottendo dell’oppio, ma inutilmente, perchè lo stoma¬co rigettava la ciroga, e quella parte che rimaneva den¬tro era solo sufficiente a procurargli una butina dormita.

Dopo questo primo, altri lebbrosi vennero in quei giorni, tra i quali tre fanciulli dai dieci ai diciassétte anni.

Venivano questi poveri esseri, timidi e quasi paurosi, a cercar ricovero e rifugio presso ï figli del Serafico Padre S. Francesco, l’amico dei lebbrosi. Quasi fosse ancora Francesco a riceverli, questi infelici trovavano una accogienza cordiale ed erano i benvenuti, i fanciulli spe¬cialmente: tutti trovavano amore, aurore fraterno, l’amore di Cristo che consolava i loro cuori aflütti, ed il sorriso tornava sulle loro labbra deformi… Sembravano rivivere!

Quel 21 Novembre il lebbrosario  incomminciò a vivere. Questi primi ricoverati non sono che l’avangardia di quelli che verranno poi . . . e saranno centinaia e centiniaia.

Verranno la maggior parte da Mosimien e paesi ma verranno anche da lontano con giorni e settimane di cammino, e non mancheranno di quelli che per giungervi faranno un mese ed anche due di viaggio, provincie del Setchuang e dallo stesso Tibet indipendente, e dal Ta-leang-san, il regno dei Lolos, che la Cina millenaria non riusci mai a sottomettere e mai cinese entrô libero in quelle montagne. Qualcuno morirà per via; altri arriveranno esausti di forze e moriran¬no in pace dopo aver ricevuto il Battesimo che aprirà lo¬ro le porte del Cielo.

Cinesi, Tibetani, Lolo, povera gente del popolo e benestanti, bonzi buddisti e taotisti e i Lama stessi, tutti vivranno al lebbrosario, affratellati dalla stessa sofferenza, dalla stessa terribile malattia e dalla stessa carità di Cristo che tutti li circonda ed ama. Tutti, senza distinzione di razza, di classe e di religione, tutti accolti con lo stesso amore, l’amore di Cristo nel guide tutti siamo fratelli.

 (4) La morte del vecchio Si

Qualche mese dopo la venuta dei primi lebbrosi, in gennaio, ci fu portato un vecchio ammalato, in uno sta¬to pictoso. Da moIti anni era infetto di lebbra anesteti¬ca-mutilante. Il sua sudiciume era quasi pià grande del¬la sua malattia. Fra Pasquale Nadal, vero tipo di fra¬tello francescano, che verso i lebbrosi aveva l’amore e la tenerezza del Serafico Padre, prese su di sè il pie¬toso compito di lavare il buon vecchio. Con eroica pa¬zienza riusci a lavare un po’ l’ammalato. La faccia era colpita da paralisi bilaterale. Le mani avevano perduto alcune dita, nitre non erano che mozziconi cancrenosi con le ossa delle falangi scoperte e annerite. Nei piedi era la stessa cosa mutilazioni e piaghe perforanti plantari ; il piede sinistro era un orrore. Il vecchio, riscaldandosi, stando troppo vicino al fuoco, si era addormentato, ed il piede era finito nel braciere; e a causa dell’anestesia che colpisce tutti i lebbrosi, senza che i’ammalato avvertisse, si era bruciato il calcagno fino all’osso, che era scoperto, e parte della gamba ; ne era sopraggiunta la cancrena e setticemia.

Era il primo lebbroso che moriva al lebbrosario, la prima anima che da esso saliva al cielo. Cie) non poteva Barbare al nemico ciel bene che vedeva nel lebbrosario un centro di propagazione ciel reg-no di Gesit, e per con¬seguenza, luogo di salvezza per tante anime. Prese l’oc¬casione di questo primo morto per muoverci guerra.
Con Fra Pasquale, per far le cose meg-lio che ci fos¬se possibile, lavammo il cadavere e lo vestimmo di vesti pulite e lo deponemmo nella bara senza chiuclerla. Co¬primmo il defunto solo con una tela, in modo che fossero liberi di poterlo vedere i parenti che non abitavano Ion¬tano. Vennero questi, nia né essi, né altri si curarono di guardare il povero modo. Chiuclemmo la bara e il morto fa sepolto cristianamente.

Si parlà molto di questo primo morto al lebbrosario, tante più che il vecchio era molto conosciuto. Si sparse la voce che gli infermieri europei erano stati qualche tempo nella cameretta del morto e gli avevano levati gli occhi e il cuore. La mala voce si propagà per tutta la vallata ; se ne parlava dappertutto; chi credeva, e chi no, chi si stringeva nelle spalle e rideva. Padre Placido e noi tutti eravamo molto dolenti.

Il nascere di questa diavoleria, proprio al principio dell’opera, non poteva che essere azione del maligno che voleva intimorire i lebbrosi affinche non venissero da noi, e suscitarci contro il malumore cli tutti gli abitanti.

Padre Placido prende la decisione di mandare un biglietto al Mandarino ciel luogo e lo prega di venire da lui per un affare urgente. Questi viene subito ed è tutto gen¬tilezze e complimenti ; si beve insieme una tazza di the, si chiacchera un po’ della stagione, e dei lavori del leb¬brosario che procedono lenti.
— Abbiamo moite difficoltà, dice il Padre, ma un po’ alla volta saranno superate!… Ha sentito? è morto il primo lebbroso, il vecchio Si!

— Si, si, ho sentito, lo conoscevo, poverettô! Ma quanto siete buoni voi, a prendervi cura di questi amma¬lati! Quante opere buone fate!

— La nostra Religions ci comanda di fare del bene a tutti ; percià cerchiamo di face quel che possiamo… Ma lei, Signor Mandarine, avrà sentito quali chiacchere ser-peggiano tra il popolo è una cosa molto dolorosa per noi.

— Oh! certo! lo credo benissimo; ma non ci badate, sono canaglie; nessuno ci crede.

— Mi scusi, ma queste chiacchere maligne devono assolutamente cessare e tutti siamo convinti che sono falsità. Per questo io invito lei, che è la prima autorità, a venire qui, con altri, domani ad esaminare la cosa. Noi scopriremo la tomba e loro esamineranno il cadave¬re… Cosi potranno accertarsi che nessuno ha levati gli occhi o il cuore… Va bene?

Il povero Mandarine aveva cambiato colore.

— Padre, che dice? No, no; non è necessario; non pensiamoci neppure : è morto da più giorni e per di più è lebbroso! Lasci fare a me, l’assicuro che tutto cesserà.— Se non cessa sarà costretto a ricorrere aile auto¬rità superioril…

— Non ci sarà bisogno. Tutto cesserà e in breve non se ne parlerà più.

Il giorno successivo egli riunisce i capi luogo e il popolo che è al mercato. E dice a tutti : È tempo che le chiacchere sul vecchio Si che è modo al lebbrosario, ces¬sino ; ieri sono stato a fare un’inchiesta ed esaminare la cosa ho potuto constatare che tutto cià che si dice è falso! Ho dato ordine che chiunque clirà ancora tale fal¬sità sia arrestato e sarà mandato a riaprire la tomba e vedere il cadavere del morto; poi sarà severamente pu¬nit°. Mi avete inteso?
Le chiacchiere finirono, nè più si parlà di tale faccencla.

La vecchia favola, che Missionari e Suore levassero occhi e cuore ai morti per far medicine era arrivata anche a Mosimicn. Purtroppo, questa stupida storia è stata fat- ta rivivere lo scorso anno dai comunisti cinesi, ed è una delle tante accuse che lanciano vilmente contro i Missio¬nari e le Suore. Dimostrano cosi questi comunisti il di¬sprezzo che hanno per il popolo cui fanno bere tali enormità.

 (5) Il vangelo annunciato ai poveri

I lavori del lebbrosario procedevano ahbastanza be¬ne, henchè lentamente e non senza difficoltà. Dopo i pri¬mi, altri lebbrosi erano venuti; cosi, quando nel 1931
arrivà all’ospedale il primo gruppo di Suore, né trovô già una trentina.

Padre Placido, malgrado i suoi 58 anni, era sempre attivo, dirigera con competenza i lavori del lebbrosario, era un po’ l’ingegnere, il capomastro e il sorvegliante, coadiuvato solo per qualche tempo da un sacerdote cine¬se. Pure in mezzo a tante occupazioni, il buon Padre trovava il tempo di dediearsi ai poveri lebbrosi che ama¬va corne figli prediletti, perchè sofferenti. Parlava loro di Dio e della Vergine Santissima e del Paradiso che li attendeva dopo le sofferenze di questa terra. Questo par- lare, nuovo per i poveri ammalati, faceva loro un’im¬pressione profonda.

Qui veramente il Vangelo era annunciato ai poveri. Quando il Padre parlava loro di Gesù, semhrava dimen¬ticassero le loro sofferenze; erano tutti attenti, mente e cuore, ad ascoltare le parole della vita eterna. Quand() spieg-à loro le parole di Gesù : «Venite a me, voi tutti che soffrite, ed Io vi consolerè», compresero che anche per loro non vi era più motivo di disperazione, perche nei dolori e nell’urniliazione della lebbra, avrebbero pur trovato nel Cuore di Gesù, tanto amante e pieno di com¬passione, un dolce Amico e consolatore.

Se la festa di S. Francesco del 1951 è una data che fa sanguinare il cuore, quella del 1931 è un lontano caro ricordo.

Quel giorno Lu inaugurata una cappella provvisoria, in attesa di avere una Chiesa. Era la prima volta che i lebbrosi potevano assistere alla S. Messa. Tra loro vi era quaiche cristiano che potè cosi accostarsi alla S. Co¬munione. Sopra l’altare troneggiava l’immagine del Se¬rafico Padre, e gli ammalati guardavano attoniti quel¬I’uomo che calpestava il mondo ed abbracciava il Croce-fisso. P. Placido parlà loro di S. Francesco e del suo amore per i lebbrosi… E disse che un giorno gli faceva¬no orrore, ma che poi, vincendo se stesso e spinto dalla grazia del Signore, ne abbraccià uno, e tutta la ripu¬gnanza gli si muta in dolcezza di anima e di corpo, e da quel giorno si cledicà al loro servizio, non vedendo in essi che Cristo Croccfisso, fatto per amor nostro e per la nostra salute quasi un lebbroso. Da allora, nel lebbrosa¬rio, dopo Gesù, Maria e S. Giuseppe, S. Francesco fu il più amato fra i Santi.

Anche la Pasqua del 1932, è un lontano dolce ricordo.

Sono i primi tempi ciel lebbrosario, i tempi eroici. Corne era tutto bello allorai la natura che ci circondava con i suoi torrenti, talvolta paurosamente impetuosi, con le sue montagne boscose e profumate, con le nevi e i ghiacciai eterni! Ci sembrava essere una famiglia sola, religiosi, Suore e lebbrosi. Moite cose ci mancavano, ma non ci si badava. Cosi lontani dal mondo e con le cornu¬nicazioni cosi difficili, era impossibile avere tutto cià di cui si aveva btsogno per la famiglia religiosa e sopra¬tutto per un ospeclale di lebbrosi, ma l’amore vinceva ogni cliflicoltà, racidolciva ogni sacrificio ed ogni privazione.

In quel taro giorno di Pasqua si battezzarono solennemente dieci lebbrosi : cinque uomini e cinque don¬ne. I tre fanciulli primi arrivati erano tra questi, corne pure il primo lebbroso venuto. Uno di questi primi battezzati, pieno di sant entusiasmo, diceva: “Se non avessi avuto la lebbra non sarei venuto qui, non avrei conosciuto Dio, non avrei potuto salvare l’anima mia! Si, la lebbra è una grazia di Dio!”

 (6)   Falegname misterioso

Un giorno un uomo di Ni-tow, che dista un centinaio di chilometri da Mosimien, ci accompagna la sua fami¬glia, e figli, tutti lebbrosi eccetto lui.
Si fermà qualche giorno tra noi. Era contento, poi¬chè s’era liberato in modo soddisfacente dai suoi amma¬lati ed ara amava chiacchierare. Interrogato corne mai avesse pensato di portare al lebbrosario i suoi ammala¬ti, ci narrà la storia che segue :
− Stavo scavando un fossa vicino alla casa, quando passà un individuo mai visto da quelle parti, e non so corne mai si fosse trovato a passare cli là.

— Che ne fai, buon uomo, della fossa che stai scavando? — mi disse lo sconosciuto che passava e si era fermato a guardare il mio lavoro.
Io ero triste e non avevo voglia di chiaccherare e di narrare ad i.ino sconosciuto la storia delle mie miserie. Ma quel viandante mi clava l’irnpressione d’essere una buona persona… e poi, lo sfogarsi, qualche volta, riesce sollievo aile nostre pene. Allora mi sedetti sopra un sassa vicino a lui, accesi la pipa e tra una boccata e l’altra, narrai la mia storia.

— Chissà per quali colpe, mie e dei miei antenati, il cielo non mi è propizio e la fortuna non è con me…

Corne tutti, io ho una famiglia : moglie e due figli. Lo crederesti? tutti e tre sono lebbrosi; un figlio, il mag¬giore, è morto alcuni mesi fa della stessa malattia.

Ho una casetta che vedi là, e un po’ di terra. Nes¬suno dei vicini vuol aiutarmi perchè tutti hanno paura del male e mi consigliano a liberarmi da tale famiglia. Proprio non ne posso più… Sono cose che fanno disperare!

Vedi quella fossa che sto scavando? La preparo per mia moglie e i figli. Ho comperato al mercato della carne e del vina. A questo, con dello zucehero, mescerà del¬l’oppio; questa sera faremo un pranzetto, dari) loro da bere il vina, e, quand° saranno acIdormentati, li porterb qui e li seppellirò!…

Mi dispiace per i figli, ma «mo fà», non ha altro rimedio.
— No, — mi disse risoluto lo sconosciuto — non far cosi, è male! Fa corne ti dico io! Vicino a Mosimien vi sono degli europei, Religiosi e Suore della Chiesa Cattolica : essi raccolgono i lebbrosi da qualunquie parte. Iosono un falegname che lavoro là al lebbrosario ed ho vi¬sto con i miel occhi corne sono buoni e con quanto amore curano gli ammalati. Se accompagni là i tuoi, nulla mancherà loro : vesti, cibo, medicine… Vi sono là molti altri lebbrosi e tutti sono contenti. Ti assicuro che cosi sarà anche dei tuoi.

Ora moglie e figli sono qui cla vol — conclure il marito essi sono contenti ed io pure.

A conferma di quello che lice, il buon uomo si dà una fregatina di mani e riaccende la pipa che si era spenta.

Chiedemmo il nome ciel falegname, ma l’uomo non lo sapeva, e per quanta cercassimo chi fosse, mai riu¬scimmo a saperlo.

Questo contadine era disposto e già stava preparan¬do la fossa per seppellire, vivi o morti, i suoi, cui avreb¬be somministrato dell’oppio. Fa orrore il pensarlo!
Lassù si crede che quando un lebbroso muore, i ger¬mi ciel male escano dal corpo e volino per l’aria ad in¬fettare nitre persone, perciô non è raro il caso che si cer¬chi di eliminarli, seppellendoli ben profondi, corne que¬st’uomo stava facendo per i suoi.

Quanti poveri lebbrosi, prima ed anche dopo il no¬stro arrivo, hanno subito tale misera fine!

Tali cose si fanno dove manca la carità di Cristo!….

  (7)   Padre Epifanio (Pegoraro)

Solo undici mesi rimase al lebbrosario, questo co¬razziere di un re terreno, lui araldo di Cristo, Re eterno!

Ma lasciè un ricorclo imperituro in quanti lo hanno conosciuto e visto al lavoro tra i lebbrosi di Mosimien.

Aveva lasciata la Missione di Hau-kow ove era stato Rettore del Seminario minore e procuratore della Mis¬sione. Finalmente il suo desiderio di darsi al servizio dei lebbrosi veniva esaudito, quando giunse tra noi il primo luglio 1934.

Gli ero andato incontro fino a Lentsi, a 30 chilometri da  Mosimien. Per via voile essere informato dello stato del lebbrosario e dei leb¬brosi. Ardeva dal desiderio di essere presto in mezzo a loro.

Da Len,tsi a Mosimien si passa in barca il fiume Ta-tong¬ho, poi la via sale lentamente lino al passo di Mo-kang-ling e da qui domina tutto Paltipia¬no di Mosimien che sta a circa 300 metri più sotto, e, stacca¬to com’è dai monti e dai due torrenti laterali, sembra un gi¬gantesco dragone che salga a dar l’assalto aile montagne. Co- P. EpiJunio Pegoraro si infatti lo concept forse il popolo clic chiamè «bocca del dra¬gone» il punto verso nord-ovest ove l’altipiano ha inizio, e «coda del dragone» più giù a valle ove termina a Pun¬ta, love si riuniscono i due torrenti.

Da Mo-kang-ling si percorre una rapida discesa, si passa il torrente tumultuoso, si compie una breve e dura salita, ed ecco il P. Epifanio tra le braccia del P. Placido :
« Nunc dimittis servum tuum, Domine », dice que¬sti; « Mane nobiscum », risponde il nuovo arrivato.

Quando P. Epifanio arrivù, i lebbrosi erano un cen¬tinaio. Ogni giorno egli faceva l’intero giro del lebbrosa¬rio, entrava in ogni casa, voleva vedere tutti gli anima¬lati, perché tutti — diceva — erano suoi figli. I più gravi poi, erano visitati anche parecchie volte al giorno. Con la tenerezza e l’aurore cli una mamma, si chinava sulle lo¬ro miserie per sollevarli a più alti ideali, a soffrire con Gesù, per amor suo e delle anime.

La visita del caro Padre, la sua parola di conforto, la sua benedizione, era per quei poveri sofferenti il con¬furto e sollievo desiderato più di qualunque medicina.
Quant° erano contenti quando le potevano avere vi¬cino a loro. A lui aprivano il loro cuore, anche i pagani; gli narravano le loro sofferenze, le preoccupazioni per la farniglia nel grande cuore del Padre si ri¬percuotevano le perse e i dolori di tutti.

I lebbrosi comprendevano il grande aurore che P. Epifanio portava a loro e lo ricambiavano con eguale misura.

Era veramente la santa e francescana letizia che il Padre, con lo zelo suo e l’apostolato sacerdotale, aveva portato in lebbrosario.

— Vuoi andare in Paradiso, nonna? — chiese un giorno P. Epifanio ad una vecchierella gravemente ammalata.

— Altro che ci voglio andare, Padre! Non mi ha detto tante volte lei che là si é felici? Ho tanto sofferto sulla terra, possa almeno essere felice nell’aldilà!…

— Ma credi tu in Dio?.., in Gesù che è morto per noi?.., e sella sua purissima Mamma, Maria?…

— Corne volete che non ci creda, Padre? Me le ha insegnate tante volte lei queste cose! Lei non m’inganna, so per esperienza che la buona gente non inganna nessuno.

− Allora ti battezzo, nonna?

— Si, si, Padre, e faccia presto!

— Che nome vuoi?

— Maria!

Quand’ ebbe ricevuto il Santo Battesimo, disse con grande gioia la vecchierella:

− Ora sono contenta,. Non importa se soffrirè ancora • Gesù e Maria hanno sofferto tanto per me! Qualche giorno dopo Maria è agli estremi, e il Pa
dre vicino a lei :

— Soffri molto, Maria?

Maria fa cenno di si col capo.

— Soffri tutto per Gesù, confia in Lui, nella Ma- donna ; pensa al Paradis° ove presto giungerai.

Sorride la vecchietta, poi con gli occhi quasi spemi, guarda il Padre e dice :
— pli basta che lei mi beneclica, Padre, in non de¬sidero altro, sono contenta… E con la benedizione del suo caro Padre, Maria volè al Cielo!

Era commovente il vedere corne il P. Epifanio cercava. in ogni modo di raddolcire le pene ai suoi cari am¬malati, prossimi al passaggio. Non li abbandonava mai, specialmente quelli che conservavano lucidità di mente. Scendeva a vederli anche di notte. Oualche volta si sedeva su uno sgabello accanto ai lebbrosi, e pregava, ‘in at¬tcsa che l’agonizzante spirasse per accompagnare l’anima sua lino al porto clell’eternità ed affidarla agli Angeli.

  (8)   Dinanzi a Mao-Tse-tung

 All’alba del giorno seguente arriva una grossa squa¬dra di manigoldi, vestiti in varie fogge, ma tutti con una grossa stella rossa e la falce e il martello in fronte. Sen¬za tanti complimenti, a noi frati legano le ma.ni dietro la schiena, non lo farm° perô aile Suore, e dicono : «A Mosimien sono arrivati i capi : essi vi giudicheranno!»

Eravamo quattro religiosi : P. Placido, P. Epifanio, Fra Pasquale ed io, poi c’erano le tre Sucre, una delle quali indigena, di nome Je-to-ta che significa Suor Ger¬trude. Era il giorno dell’ Asccnsione di Nostro Signor Gesù Cristo, e noi si pensava : Che bel giorno se ci man- classer° al Cielo oggi!…

Dopo una lunga attesa siamo condotti dinanzi al «Goventa della repubblica sovietica cinese» (Già dit quel tempo si chiamavano cosi : Mao era il Presidente!).
Fumrno condotti proprio clinanzi a lui. Erano con lui e l’accompagnavano altri capi dell’attuale repubblica popolare: Tchute, Tc-. heon-Eui-Lai, ed altri. Era con loro anche un russo che si accontentà di guardarci e se ne andô. Si ebbe un lungo interrogatorio. Padre Epifanio rispondeva per tutti, sempre calmo e padrone di se.

Conclusione: Il fratello infermiere e le Suore torneranno al leb¬brosario, gli altri do¬vranno seguirli corne prigionieri!

Âltro che immunità da molestie!!!

La separazione è immediata : un abbracfernzitit venivano da F. Giuseppe cio, una beneclizione e con le lacrime agli occhi dobbiamo lasciare… Addioi confratelli!
Io e le tre Suore, accompagnati da soldati, torniamo al lebbrosario ove una parte di lebbrosi erano fuggiti. Oudh rimasti erano spaventati, si consolarono un po’ nel
vederci ritornare, ma piansero inconsolabili quando si. disse loro che i Padri e Fra Pasquale forse non sarebbero più ritornati.

Nel lebbrosario i rossi continuavano ancora il saccheggio, ma un orchite dell’ufficiale che ci aveva condotti li fa tutti partire.

Cosi liai quel triste giorno, 30 Maggio 1935.

 (9)   Chi ritorna… e chi sole il calvario

Passammo ancora (palette giornata angosciosa… Tutti i viveri e le vesti dei Iebbrosi erano stati portati via ; non ci restavano che le vesti che avevamo addosso!…
Dappertutto disordine indescrivibile!

Cià che era utile ai rossi l’avevano preso, il resto distrutto. 11 popolaccio, corne sempre in simili circostan¬ze, aveva fatto il resto, completando il vandalismo degli «amiei del popolo».

Tutto era ben triste, ma la tristezza più grave pro¬veniva dalla preoccupazione sulla sorte dei nostri Confratelli prigionieri.

Le Suore crano tre, e si sapeva che le altre fuggite in montagna erano al sicuro e sarebbero tornate non ap¬pcna l’uritgano si fosse calmato… Ma io, povero frate, ero solo!… Che giorni angosciosi!

Finalmente cessarono di passare i lanzichenecchi e tornô un po’ di calma.

Primo a tornare fu il Padre cinese, coadiutore del Padre Placido in Parrocchia in sostituzione di P. Bar¬naba che era tornato in Patria per salute. Era ancora spa¬ventato e non si fermè al lebbrosario.

Poi, con nostra grande sorpresa, arrivà Fra Naza¬rio che si sapeva prigioniero. Era statu nclle mani dei

Colpiti dalle più ri pugnanti in- Chi rossi due giorni e poi rilasciato. Per via si era incontrato con i Confratelli prigionieri, ma non aveva potuto scam¬biare con loro che un saluto.

Dopo di lui tornarono anche le Suore dalla monta¬gna. Anche loro avevano passato delle ore tragiche, ora in una grotta, ora in una capanna ed ogni notte sotto la pioggia, con l’ansia nel cuorc per cià che succedeva al lebbrosario.

Finalmente, la sera del G Giugno, ritorrib anche Pa¬dre Placido. Vecchio ed ammalato, non poteva seguire i rossi nella loro corsa verso il nord, percià fu rilasciato. Nell’abbandonare i suoi Confratelli prigionieri, li bene- disse, abbraccib, sicuro che non li avrebbe più riveduti sulla terra.

Padre Epifanio gli consegnb ancora una Jettera, l’e¬stremo saluto di chi andava a morire per Cristo, alla vecchia mamma che lasciava sola al mondo.

Mentre P. Placido riprendeva la via del ritorno, i due prigionieri s’incamminavano verso il Calvario.

Dio solo conosce cié che P. Epifanio e Fra Pasquale hanno dovuto soffrire nella dura. prigionia, prima dell’olocausto supremo.

Il loro sacrificio fu consumato una triste sera di Di¬cembre, dopo sei mesi di prigionia, nella lontana valle di Leang-ho-henn, che dista circa un mig-liaio di chilo¬metri da Mosimien.

Un vecchio, testimone della scella, narrb ai cristiani di Mong–Kong i particolari :

lJna sera di dicembre aveva visto i comunisti condurre lungo le rive di un torrente i due stranieri : uno molto alto, piccolo l’altro. I due procedevano lentamente ed avevano lacere le vesti e i piedi nudi. Presso il torrente li decapitarono e, allontanandosi, abbandonarono i cadaveri.

Il  buon vecchio scavb allora un fossa e li seppelli in uniti nella morte in una comune fossa, corne era¬no stati uniti nella sofferenza e nel sacrificio i due eroi di Cristo!
La Vergine SS.ma e gli Angeli avranno assistito e •consolato gli ultimi istanti e la loro immolazione, e le ani¬me loro, purificate da sei mesi di sofferenze e dal sangue versato per Cristo Re, le avranno portate immacolate al Trono di Dio!

 (10)    Le Francescane Missionarie di Maria arrivarono al lebbrosario per rimanervi stabili, nell’Aprile 1931.

Il loro convento non era ancora. finito; in attesa clic fosse ultimato, abitarono per un anno in una vecchia casa cinese.

Guidate dalla loro Madre Superiora, Marie de S. Marc, un’ anziana di piccola statura ma di cuore grande, vero tipo di donna forte, sempre eguale nelle gioie e nei
dolori, si misero subito al lavoro nel servizio dei lebbrosi. A loro fu affidata la parte economica e l’assistenza aile donne.

Non era un lavoro leggero il loro, eppure lo disimpegnarono sempre con diligenza e carità.

Madre Marie de S. Marc, in varie riprese fu Supe¬riora per tredici anni delle Suore del lebbrosario. Visse con noi i primi tempi eroici. Fu al suo posto durante l’u¬ragano rosso e in tutte le ore tristi del lebbrosario.

Vera Madre per le sue Religiose, lo era anche per i lebbrosi. Non temeva d’avvicinarsi a loro, di aiutarli, as¬sisterli e curarli, sempre con dolcezza e umiltà. Nei pri¬mi anni, quando aveva poche religiose e inesperte, . era lei che curava le ammalate, e più erano ripugnanti, più era grande la sua carità.

Arrivate altre Suore, non restava lei nel suo ufficio a dirigere, nia spesso usciva ad aiutare le sue consorelle, a visitare i lebbrosi e vedere se avessero bisogno di quai¬che cosa, e cià clic più l’attirava erano gli ammalati più gravi e più ripugnanti.

Quante volte nel suo giro incontrava qualcuno che le chiedeva qualehe cosa : «Madre, vorrei un po’ di car¬ne, un po’ di riso, di miele, poste, frutta, ecc!..» Ella ascoltava sempre sorridente e per quanto poteva cerca¬va di accontentare tutti.

Quando questa Madre fu trasferita a Kang-ting — cosa che avvenne più volte — parecchi lebbrosi piansero, specialmente tra le donne e le fanciulle.
Quando si spargeva la noce che Marie de S. Marc tornava corne Superiora, era una festa al lebbrosario.

La Religiosa che per due volte le succedette corne Superiora, era pure donna cli gran cuore. Attiva eamava i lebbrosi e, per quanto era nelle sue possibilità, cercava che nulla mancasse loro. Essendo un po” rnalaticcia, non poteva visitarli tanto spesso.

Madre Maria Cristiana fu due volte al lebbrosario, in tutto una decina di anni. Chiamava i lebbrosi «suoi ami- ci». Era ahile e delicata infermiera. Quante volte la vidi piangere suite sofferenze dei malati! Quante volte mi chie- se ang-osciata « Fra Giuseppe, che posso fare per quel-. la donna?… venga a veclerla : soffre tanto! »
E che tenerezza materna per le fanciulle lebbroser Iueng-siang-, la piccola sordomuta lebbrosa, balzava di gioia quando di lontano la vedeva venire.

Merita pure essere ricordata Suor Jetota (Gertrude), la Suora indigena che tanto lavorè per insegnare ai leb¬brosi il catechismo e le preghiere. Fu di valido e prezio¬so aiuto ai Padri Placido, Epifanio ed Egidio net prepa¬rare i catecumeni al Santo Battesimo. Si pub dire che migliori cristiani furono preparati da lei, dalla sua pa¬zienza e dal suo zelo ncll’istruire questi montanari rozzi ed analfabeti.

Questa buona Suora, dai persecutori fu tolta di convents (ultimamente risiedeva a Kangting) e fatta ritornare al suo paese, in cerca della famiglia che forse più non aveva

Cosi erano tutte le altre Suore che hanno lavorato tra i lebbrosi di Mosimien, Suor Bonifazia per prima: tutte buone, tutte pazienti ecl eroiche. Donne che hanno rinunciato e lasciato tutto per sel-vire a Cristo tra ï leb¬brosi delle montagne tibetane. Donne che lavoravano in¬stancabili, con un cuore infiamrnato d’aurore per Gesù e per le anime!

 (11)   P. Placido muore

Padre Placido era stato il costruttore intelligente dei lebbrosario, il primo Superiore, colui che seppe fare di esso più clic un sempiice ricovero, un centro di apostolato, un sereno asilo per i poveri sofferenti, un’anticarnera del Cielo. Si pub ben chiainarlo «confonclatore» insieme a Mons. Giraudeau, Vescovo del Tibet.
Padre Placido ha tanto amato e sofferto per quest’o– pera ora la deve lasciare per una Patria migliore. Ma egli è tranquillo : vede che i giovani venuti in suo aiuto continueranno l’opera sua

Dopo la cattura di P. Epifanio e di Fra Pasquale, egli soffri tanto e il suo cuore si ammalè.

Negli ultimi anni sperava di poter aprire una par– rocchia a Lamasse, ove andava ogni domenica a celebra¬re la santa :blessa per un huon numero di cristiani. Dio permise che le cose non andassero corne egli desiderava : – il suo cuore ne soffri profondamente.

Dal 1934 non era più superiore, ma seguiva lo svi¬luppo dell’opera con l’aurore di un padre per la sua crea¬tura. Gioiva ciel bene che si faceva e soiTriva per le Mo¬lestie che di tanto in tanto si dovevano palire dai netnici dell’opera, nemici che non mancano mai nelle opere fon¬date per il bene delle anime.

Nel Dicembre ciel 1944, il suo cuore che aveva tanto amato e sofferto non reggeva più. Dovette porsi a letto. Si sperava fosse uno di quegli attacchi che negli ultimi anni lo colpirono ogni inverno. Questa volta invece era la fine : la lampada non aveva più olio.

Il 3o Dicembre, dal suo successore, P. Egidio Fo¬ghin, ricevette con pietà edificante gli ultimi Sacramenti, alla presenza dei Confratelli e delle Suore, n’entre i leb¬brosi in chiesa pregavano per lui.

Il 2 Gen¬/11110 1945, un attacco di a¬sma cardiaca pose fine alla sua gi o rn ata, spesa tutta al servizio del Si¬gnore per pro¬pagare il suo regno sulla ter¬ra. Il Padre stringeva tra le mani il suo Crocefisso cli Missionario, benecletto cl a l Beato Pio X°, clal quale era stato ordinato sacerclote.

I funerali ebbero luogo nelia chiesa del lebbrosario, ove il suo corpo fu esposto per due giorni, volenclo i lcbbrosi vedere ancora le sembianze del Padre amato e pre¬gare attorno alla sua barn. Fu sepolto in lebbrosario, ai piedi della grotta di Nostra Signora di Lourdes.

Ora é là… solo!… Tutti i suoi Confratelli e le Suo¬re sono stati espulsi!…

Dal .Cielo, assieme ai nostri cari martiri eroici, Padre Epifanio e Fra Pasquale, veglia sull’opera amant ; con lord conforta e fortifica i nostri lebbrosi ed affretta l’ora del sospirato ritornol…

 (12)   Arrivano giovani

Arrivano finalmente i giovani tanto attesi. Primo fu il P. Floriano Roncari che arrivô il 10 maggio 1948. Il 24 Settembre niella stesso anno giunsero P. Candida Rachelli, Fra Stanislao Rossato e Fra Epifanio Cardin; il Io Febbraio 1949 giunse il P. Gentile Bail.
Cosi ci sembrava di risorgere a nuova vita.

Anche le Suore avevano avuti rinforzi con sangue giovane.

Aiuti economici e medicinah cominciarono ad arrivar– Ci dalla Croce Rossa e dall’opera per la lotta contro la lebbra in Cina, cd anche da altre parti.

Si sperava bene, si attendevano giorni migliori .e si facevano progetti per I’avvcnire… invece doveva venire ancora la sventura.

 (13)   Sotto i nuovi padroni

Prima di inoltrarsi nelle montagne del .Si-kang, le truppe aliberatrici» lasciarono passare l’inverno.

Arrivarono nella nostra regione nel Marzo del I950. Nei priori rnesi non vi furono mutazioni notevoli. Esami navano, interrogavano, scrivevano, facevano a tutti sor¬risi gentili, eccetto elle ai ricchi o presunti talil

Qualche volta venivano al lebbrosario per fare delle inchieste. Vennero anche due medici, uno dei quali ri¬mase una settimana; esaminà i lebbrosi, s’informè sui metodi di cura e sul trattamento. Per noi questi medici .non ebbero che parole di Iode, che forse da parte loro erano sincere,

Verso la fine del 1950, col motiva della gcRiforrna ag-raria», prima la stampa ufficiale e poi tutta l’altra che era nelle mani del partita, incominciô una propaganda di calunnie e di menzogne contro la ‘Chiesa Cattolica. Cosi pure facevano nelle quotidiane riunioni per l’istruzione al popolo. Erano i segni precursori della tempesta!
Nene calunnie contro la. Chiesa, le opere assistenziali a favore del popolo, cia Essa fondate, furono le prime ad essere prese di mira. Non poteva mancare il lebbrosario.

 (14)   L’espu!sione

A Kang-ting, il nostro Vescovo, Mons. Valentin, verso la metà dell’aprile 195t fu arrestato; in maggio, nella sua cattedrale trasformata in tribunale del populo, fu calunniato e percosso, gli fu strappata la barba e con¬dannato. Egli ë ancora in carcere con tutti i suoi sacer¬doti cinesi. Dal dicembre dello scorso anno non si hanno
più notizie di lui.

Le Suore Missionarie Francescane di Maria, dopo mille angherie e molestie, furono costrette ad abbandona¬re e l’Ospedale. Dopo cià furono espulse•
Cosa si poteva aspettare di meglio al lebbrosario?


Una commissione governativa, incaricata di prencier¬lo in consegna, venne il 21 settembre. S’installô nel convento delle Suore, costringendo queste ad accontentarsi di quel che rimaneva.

Incominciarono subito presso i lebbrosi una. furiosa propaganda comunista e di calunnie contro la Chiesa Cat¬tolica e i Missionari. Si voleva che i lebbrosi accusassero i Missionari e le Suore di maltrattamenti ed angherie, ma i poveri arnmalati, con il cuore pieno di angoscia,. non sapevano che dire e continuavano a ripetere : Noi non possiamo lamentarci né dei Missionari, né delle Suore:

Ogni giorno, per ore ed ore, i poveri ammalati do¬vevano assistera a conferenze che avevano sempre la stes¬so fine : istillare nei loro cuori l’avversione e Voclio contra
Missionari e la Chiesa. Infine erano sottoposti ad inter¬rogatori nei quali i rossi cercavano di farli cadere in tra¬nello per poterci accusare fatica vana! Non solo non ci accusavano i poveri infermi, nia avevano per nui parole di iode_

Fu ordinato loro di non venire in chiesa, ma essi ve¬nivano eg-ualmente; fu ingiunto loro di non pregare, n-ta essi pregavano ancora. Per impedire die al rnattino ve¬nissero a Messa, incominciarono a chiamarli aile sei per il lavoro e le istruzioni. Alla sera facevano Ioro scuola di canto, insegnando canzoni comuniste.
Noi pure si era continuamente molestati ; non si ave¬va pace né di giorno né di notte. Terribili e dolorose gior¬nate : ogni giorno ci portava un cumula di sofferenze
fisiche e morali.

Un giorno ne pensarono una di diabolica.: frammi¬schiarono insierne nelle stesse case uomini e donne, ra¬gazzi e ragazze, dicendo che la divisione di sesso, stabi¬lita dal Missionari, non era che ipocrisia!…

Capo della commissione era un sedicente medico, furioso contro la Chiesa e i Missionari, un opportunista vizioso, un oppiornane. Due, tre ed anche quattro volte al giorno veniva da me per farsi delle iniezioni endoveno– Se. Da principio non sospettavo di nulla. Poi, vedendo aile volte certe reazioni che seguivano l’iniezione, cumin¬ciai a dubitare : feci l’esame del residuo di un flaeonci¬no che aveva portato, ed i miei dubbi furonoconferma¬ti : era morfina! Lo zelante ed integerrimo commissario si faceva iniettare ogni giorno nelle vene da boa So centigrammi di morfinal

Allarmato, temendo qualche incidente dopo le inie¬zioni, avvertii il Padre Superiore e questi il Capo della polizia che era al lebbrosario. Da quel giorno fino alla partenza, il bravo capo non fu più visto girare per ïl lebbrosario né venire da me. D’ultra parte, io avevo ri¬cevuto ordine dalla polizia di non clargli più nessuna me¬dicina. So che alla mia partenza fu capo del lebbrosario per alcuni mesi ; infine fa arrestato e conclotto a la-gan, essendo accusato di corruzione. Probabilmente avrà fini- ta la vita con un colpo alla nucal

Che memorande e tristi, giornate quelle del .4 e 5 ottobre 1951!

Poco prima di mezzogiortio -il capo della polizia chia- ma Religiosi e Suore nel suo officia, posto nel refettorio delle Religiose. Andiamo col cuore palpitante. Doveva esserci qualche cosa di grave : da Kang-ting era arrivato un corriere per la polizia.

Siamo tutti li, dinanzi al poliziotto, giovane cli 25 anni. Ci guarcia ad uno ad uno, corne per assicurarsi se ci siamo tutti : «Attenzione a quinto leggo» (prende in nutrio un foglio coperto da cumerosi timbri):

‘Per ordine del governo della Repubblica popolaré cinese, sono espulsi dal lebbrosario e dalla Cina I°: Gan-Iata…», é il min nome’cinese!…. Non sent° gli altri cari ed amati amici : da voi che per tanti anni, fino a ieri, ho medicato, curato, assistito agni giorno?…

Li vedo tutti passare dinanzi a me i miei cari amici, dal primo arrivato portato da suo padre; fino a te, amico carissimo, che questa mattina, ti sei trascinato fino a me non potendo cainminare, e mi hai abbracciato le ginoc¬chia quasi non volessi lasciarrni partire… e piangevi, piangevi, senza parole…

Purtroppo, devo partire e lasciarvi! Desideravo con¬sumare tra voi i miei giorni ed essere un giorno sepolto in mezzo a voi, nel. nostro. cirnitero, ove riposano tanti vostri compagni che ho conosciuto e amato!

Ora non vedo piû niente : questi pensieri mi hanno riempito gli occhi di lacrime.

Bisogna discendere per l’altro versante. Mosimien… il lebbrosario… tutto scompare.

fratelli lebbrosi, addio! Parto costretto dalla forza, nia il mio cuore resta in mezzo a voi, e con voi continuerà a soffrire e a pregare…

Fratelli, lebbrosi del Buon Dio, amici del Serafico Padre San Francesco, arrivederci!…

FRA GIUSEPPE ANDREATTA

dmc en la fête des Rois