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IL LEBBROSARIO DI MOSIMIEN (estratti)

Ai priori di febbraio 1930 erano pronti a partire i due Padri Placido e Barnaba Lafond e i due fratelli Laici F. Pasquale Nadal e F. Giueppe Andreatta. Partirono il 5 febbraio da Hankow con a capo

il P. Placido Albiero su una nave inglese fino a Ichang, poi su una giapponese molto piccola e scomoda fino a Chungkin. . .

Ouesto concetto che andô formandosi sul capo del P. Placido ritornerà deeisivo sui tappeto, quando, dopa un anno di riposo in. Italia, verrà ritornare in Cina. Il Vicario Apostolico di Hankow avvertirà allora il Ministro Generale che lo considera « indesiderato ” (e corne tale verrà pure definito anche il P. Prosdocimo Martini) e poiché d’altra parte il Ministro Generale non ha specifiche accuse contro di lui, « buon religioso », troverà corne unira soluzione la de¬cisione di mandarlo al Tibet in qualità di Superiore del lebbrosario di Otangtse-MosimienElia, Padre, è stato sempre sincero con me, ed io mi sforzerà di esserlo sempre con lei. Ella aveva ragione di dire che si chiamava a Roma il P. Placido allo scopo di evitare un conflitto con i Supe¬riori di Hankow e per non dare a lui che almeno qua si è sempre climostrato bison religioso, una mortificazione col non rimandarlo in Missione. Per quanto docilissirno, il P. Placido rinunziava a malincuore alla sua vocazione niissionaria, ed allora il Rev.mo Padre Generale lo ha destinato Superiore d’una nuova Missione che andiamo ad aprire al Thibet con un Lebbrosario.

Egli ha già preso il biglietto e parte fra giorni con un altro Padre Canadese e due fratelli Iaici infermieri. Egli è molto contento e credo che lo sarà anche lei. Codesta cara Provincia è la prima a rea¬lizzare un’opera di carità che fu il sogno del nostro serafico Padre : l’assistenza ai lebbrosi. Egli va ne] Vicariato Apostolico di Tatsienlou delle Missioni Etrangères, dove formerà una comunità con scopo missionario… ».

I sentimenti di P.Placido

l Signore, vorrà cosi punire, e giustamente, i miei difetti ; ma la nuova desti¬nazione al lebbrosario del Tibet mi fa anche conoscere la bontà del Signore, che vuole cosi darmi altra via e non meno meritoria per lavorare a bene della missione cinese e a decoro dell’Ordine.

V. P. R. tenga per certo che avril a petto il nuovo impegno e tutto mi sacrificherô per la sua buona riuscita che spero ottenere con la benedizione di Dio… »

Qui a Tatsienlou sono già raccolte sette donne lebbrose, che fanno pietà a solo vederle.

Due di esse sono già senza naso, senza labbra, senza occhi, senza orecchie, con queste parti canerenose… eppure ancora vivono. I Missionari dicono, che molti di questi infelici vivono nelle caverne tra i nionti, e aspettano ansiosamente che sia loro dato posto nel nuovo lebbrosario. Di esso perô non si è fatto nulla ancora„ non è ancora preparato il materiale sufficiente per cominciare ! Per solle¬citare i preparativi e dirigere poi il lavoro noi staremo intanto in una casa cinese già esistente. Con noi, dopo Pasqua, verranno pure due Suore per vedere il luogo e concordare circa la distribuzione del locale da farsi.

In viaggio abbiamo trovato ora freddo, ora caldo, secondo le varie plaghe ; sulla montagna pid alta trovammo ancora un po’ di neve, a fianco della strada. Dovunque trovammo in abbondanza cimici e pid.occhi… e scarsezza di cibarie. Fortuna che con noi avevamo qualche cosa.

A Mosimien vi è ora l’ufficio postale in maso dello stesso Missionario. Per mandarci colà direttamente le lettere, bisogna scrivere Szechwan – Via Jachow – Mosimien – Catholic Mission ».

A Mosimien

« Eccoci finalmente e detinitivamente al termine del nostro nie¬morando viaggio. Da Tatsienlou, dopo Pasqua, cioè .lunedi 21 scorso (aprile 193o) assieme al Vescovo Coadintore prendemmo la via della montagna ed arrivammo sulla sommità dopo g ore di cammino. Il Vescovo ci aveva un po’ impressionato per questo ultimo tratto di viaggio, dicendoci che è peggiore di quello già fatto da Yakow a Tatsienlou ; noi invece lo trovammo molto migliore. Da Tatsienlou partimmo aile ore 7 del mattino, e con una discesa mediocre, senza sbalzi di rapidità, eccetto qualche brevissimo tratto, seguendo sem¬pre la vallata del torrente sopra di questo circa una cinquantina di metri, senza mai trovarci sotto i piedi, né a fianco, burroni o abissi raccapriccianti, con una via anzi sempre fiancheggiata o da siepi o da cespugli, traversando talvolta prati, campi, boschetti, arrivam¬mo cosi al mezzogiorno sotto la vetta della montagna.

In uno sgangherato tugurio ci fermammo per un po’ di colazione e intanto a divertirci, densi nuvoloni coprivano il cielo, il tuono rumoreggiava tra le rocce delle montagne circostanti, e la neve co¬mincie) a cadere fitta ed agghiacciata.

Dopo mezz’ora il nostro pasto era finito ed il cielo era già mi¬gliorato, portando e sfogando le sue ire sulle vette phi alte, che ap-parivano sempre pid cariche di candidissima neve. Ripigliata la ascesa arrivammo circa le tre e mezzo sotto il cocuzzolo della montagna e là avernmo quasi un’ora di salita ripida e difficile. L’unica cosa che ci diede impressione e ci fè patire si fu la difficoltà di re¬spiro e il capogiro, d.a cui, ascendendo ci sentivamo presi non solo noi nia anche gli -stessi portatori.,.alcuni dei quali varie volte si gettarono a terra, incapaci di ascend.ere anche con la portantina vuota. Uno fa calta da vomito, un altro si batteva la testa con i pugni, altri scendevano pallidi ed in affanno fregand.osi la fronte.

Noi ci sforzammo a camminare, ma ad. ogni pochi passi l’affanno e le vertigini ci costringevano a far sosta. Un effetto veramente sorpren¬d.ente, nia buon per noi che la via, benché ripidissima non presen¬tava alcun pericolo, per cui adagio, adagio potemmo arrivare alla cima aile quattro e mezzo. Cola trovammo un tratto di via quasi piana, ma non era che un ammasso di pietre, sopra le quali si posava il piede quasi saltellando corne le cabre. Dopa di questo co¬minciô la discesa, rapida e cattiva ed alle sei e mezzo arrivammo ad un tugurio dove ci accomodammo alla meglio per passare la flotte. Il mattino, seguente aile 6 ripigliammo la discesa, che in qualche breve tratto era cattiva, ma in generale fu uno splendido camminocirca 25 Km. tra boschi fittissimi di abeti e moite altre piante secolari e fiori e ruscelli e torrenti ; una meraviglia d.i vegetazione e di frumento, orzo, lave, piselli, granoturco, patate e frutta.

Con una continua dolce discesa arrivammo a Mosimien circa le ore 5 pomeridiane d.el 22 aprile 1930« All’arrivo a Mosimien dei quattro francescani, con Mons. Valentin Pietro, e con alcune Suore Fraricescane Missionarie di Maria, ara sui luogo ara sul tavolo della biblioteca del P. Menard si squader¬narono i progetti e si discusse, si cancellà, si corresse, e si corninciô da capo… Nel ricovero provvisorio dei frati, nei ritagli di tempo si improvvisô un ambulatorio ; era una casa malconcia che si adattô alla meglio a Convento. Il P. Placido chiese a Mons. Va¬lentin di lasciargli il P. Menard lazzarista, almeno per un anno. Il P. Menard era curato a Mosimien e al sua posto era già fissato il P. Barnaba Lafond, canadese. Mons. Valentin acconsenti ; e P. Me- nard fu prezioso per consigli contro infiniti ostacoli. Inoltre, il Ve¬scovo Coadiutore espresse il desiderio che le costruzioni venissero innalzate su territorio improduttivo essendo il terreno coltivabile scarso e preziosissimo.
A ro2-1o3 di long. Gteenwhich, a 029-03o di latitudine, a 2000 metri sul mare, circondati d.a altissime montagne, su un altipiano largo mezzo chilometro e lungo 15, fiancheggiato da due violenti e furibondi torrenti, il P. Placid.o si mise all’opera. Si spianarono alcuni ammassi ingombranti di macigni « lavoro assai arduo e da doversi premettere a tutte le costruzioni della Missione ».

Poi sempre sotto la energica volontà e le direttive del P. Pla¬cido si iniziô il trasporto del materiale sul luogo. Si dovettero tra-scinare i pesanti tronchi delle conifere su per un ripidissimo sen¬tiero… lavoro oltremodo penoso, difbcile e lento !.

Intanto troppi lebbrosi erano cacciati dalle famiglie e destinati al suicidio o ad una morte violenta… facevano pietà !

F. Giuseppe vagheggiô un suo progetto e con il consens° del Vescovo lo attuô. Cioè,’ mentre si lavorava per la costruzione del grande lebbrosario, si costruirono alcune capanne-baracche, circondate da un vasto terreno e da una palizzata. Cosi preparatene cinque a ridosso del muro di cinta, si accolsero definitivamente tre lebbrosi.

Era il 21 Novembre 193o.

In germai() i lebbrosi erano 15. Il 13 gennaio 1931 fu eretto lo scheletro del primo padiglione, avendo superati grand.i ostacoli ma-teriali e morali (2).

Per la cura perô delle lebbrose erano necessarie le Missionarie Francescane di Maria ; e queste vennero nel Marzo di quell’anno conducendosi anche un piccolo gruppo di lebbrose, raccolte e ca¬rate nascostamente a Tatsienlou, con loro grave pericolo, potendosi rinnovare la scena del 1911 (3).

Le Suore erano una francese, una italiana ed una cinese, ma non essendo ancora prorata la nuova casa, il P. Placido preparà loro un posto in tura piccola casa colonica, alla francescana anche per esse (4).

In aprile i Frati avevano altre tre stanze, una stalla ed una tettoia, e si erano procurate una mucca e due capre per il latte, ne¬; cessario al debole stomaco d.el P. Placid.o. Cosi quattro stanze erano abitate, una era per la medicazione degli ammalati ed una per magazzino (5).

In maggio il P. Placido costrui un ponte sopra il torrente im¬petuoso che passa vicino al lebbrosario ; questo era della massima utilità per il trasporto di tavole, travi e legna dai boschi vicini (6).

In giugno venue innalzato lo scheletro per la casa delle Suore (7). La relazione principale l’abbiamo il 25-9-’31

« I lebbrosi ricoverati sono oltre 3o e d.obbiarno ritardare moite altre accettazioni per mancanza di locali. Si lavora continuamente, ma con i mezzi e piü che tutto con gli operai di questi luoghi, non si puô ottenere di più.

Il padiglione per i lebbrosi pid gravi, cominciato in gennaio è presso al compimento. Esso ha una sala per 18 infermi e 8 stanze. La casa per le Suore, a due piani e il granaio, è pure presso il com¬pimento. Essa ha cinque grandi stanze al piano terra e ro al piano superiore. Ha pure un comodo sotterraneo. Sta già al coperto la

seconda ala, per la cucina, lavanderia, ecc. F, pure al coperto una sala che servira ad tempus per celebrarvi la Messa Festiva per i lebbrosi cristiani e catecurneni. Entro l’anno si comincierà la co¬struzione della grande Chiesa e del padiglione per le lebbrose pid gravi ; già le fondamenta sono preparate (1).
Nel 1932 in Pasqua abbiamo i primi battesimi (2).

In novembre d.ello stesso 1932 abbiamo il resoconto ciel lavoro raggiunto :
« i fabbricati maggiori già compiuti ed abitati sono 8. Sei
sono case, un padiglione ospedale ed il Convento delle Suore ; a que¬sto sono da aggiungersi altri fabbricati minori : cucine, gabinetti, bagni, tettoie, porcili, locali di ripostiglio, cella mortuaria, porteria e casa per il custode, vasche di acqua, strade interne, un ponte sul grande torrente e quasi duemila metri di mura di cinta, con ripa¬razioni o mod.ificazioni o aggiunte ad alcune case preesistenti ; e fabbricati in lavoro, cioè un secondo padiglione, la Chiesa, un grande refettorio, dispensario, ecc. » .

Il 1933 è caratterizzato dalla decorazione della facciata della Chiesa. Con l’arrivo di due fratelli laici, F. Pasquale Nadal è final- mente libero ad esercitare l’opera sua di scultore. Il progetto era : nel mezzo la statua di S. Giuseppe, ai lati in bassorilievo gli arcan¬geli Raffaele e Gabriele ; sotto l’atrio le statue di S. Francesco e S. Elisabetta, sulla facciata poi dell’Ospedale la Statua di Maria Consolatrix Aftlictorurn.

Ouesto immenso programma di scultura non venue completa¬mente portato a termine alla perfezione, perché i comunisti arre-starono F. Pasquale proprio n’entre rifiniva la statua della Ma- donna.

La mancauza di d.enaro nel 1934 fa diminuire i lavori. I lebbrosi sono giunti ad 8o, di cui 40 sono divenuti neofiti. Coll’arrivo poi, nell’agosto di quello stesso anno, del P. Epifanio Pegoraro, viene iniziata la decorazione interna della Chiesa del Lebbrosario .

Agli ultimi di d.icembre del 1934 venue al lebbrosario Mons. Valentin per la S. Visita. Denedisse solennemente la nuova Chiesa del Lebbrosario, e terme la Cresima per i lebbrosi. Rimase assai. contento.

Nel gennaio del 1935 si iniziô pure, per volontà del P. Epifanio appoggiato in pieno dal P. Placid.o, un foglietto dal titolo : Con S. Francesco tra i lebbrosi del buon Dio, riportato da Apostolato Fran¬cescano in Cirta ed anche dal foglietto mensile Squilla Missionaria.

All’invasione dei comunisti avvenuta dal 28 maggio al 2 giugno 1935 i lebbrosi erano 13o, dei quali 70 battezzati.

Vi erano 8 padiglioni : S. Francesco e S. Pietro per i ragazzi ; S. Lodovico, S. Diego e S. Antonio per gli uomini ; del S. Cuore, dell’Immacolata e il grande pad.iglione di S. Elisabetta per le donne. Era terminato il Convento per le Suore e le mura di cinta lunghe d.uemila metri e alte tre metri, con altre mura interne per separare gli uomini dalle donne. Era pure terminata la Chiesa declicata a S. GiuseppeSecondo una relazione del 24-4-35 si stavano anche costruendo
i dormitori per i ragazzi lebbrosi, ed altri locali erano già necessari per altri scopi (r).

Dopo l’invasione comunista è degna di nota la costruzione della Grotta di Lourdes nel recinto del Lebbrosario, ed inaugurata sella festa dell’Immacolata l’8 dicembre 1936.

Nel 1940 venne installata pure una piccola centrale elettrica che per quanto rcizza, serve ottim’amente. Essa è opera del P. Egidio M. Foghin.

Il 5 ottobre 1949 sul campo già comperato dal P. Placido trac¬ciammo le fondamenta del nuovo Convento dei Francescani, essendo Superiore il P. Floriano Roncari. Progettista ed ingegnere fu il P. Egidio Foghin. Con questo venivano portati a compimento tutti i lavori iniziati dal P. Placido.

Fino a tanto che l’Amministrazione del Lebbrosario rimase nelle marri ciel P. Placido i lavori procedettero sempre degni di Iode e a tutto vantaggio del Lebbrosario, mentre quando passô aile Suore Francescane Missionarie di Maria nel 1937, i lavori realizzati dopo, furono tutti provvisori e assai precari.

Ouesto cambiamento avveune sull’appoggio di Mons. Valentin, in forma tacita, tanto che P. Placido se ne accorse nel 1942 ! Ouesto modo di agire logicamente fu causa di non piccole incomprensioni e dispiaceri.

Le Suore Francescane Missionarie di Maria abbondavano di ele¬mosine per il lebbrosario più del Vicariato di Tatsienlou e più dei Francescani ed il Vescovo Mons. Valentin credette giusto di ricom¬pensarle in questa forma.

I lavori provvisori (si fecero delle costruzioni a soli mattoni senza legarli con la malta !) vengono giustificati dal fatto che le Suore avevano progettato la costruzione del Lebbrosario tutta ex novo per additarlo poi quasi a modello.

LOTTE E SOFFERENZE

Il 29-1-’31 il P. Placido diceva di sè : « Io mi considero corne uno di quel missionari che viaggiando in alto mare furono gettati dalla tempesta in terra cui non pensavano, ma dove li voleva Iddio per i suoi altissimi fini ».

La tempesta l’aveva gettato sull’altipiano del Tibet ; ma nep¬pure lassù la sua vita doveva essere pid tranquilla… Le principali lotte, difficoltà e sofferenze furono le seguenti : all’inizio della co¬struzione del lebbrosario, quando ancora non s’era fatto nulla e ben poco si era preparato, tutti i mercanti di legnami, ai quali era stato dato molto denaro per somministrare tavole e travi da costruzione, rnancarono vergognosamente e ingiustamente all’impegno. Il Ve¬scovo li accusô più volte in tribunale ; ma seppero sempre cavarsela con scuse e promesse ; intanto il P. Placido non poteva cominciare nessuna costruzione. Inaspettatamente un giorno affiul al P. Pla-cido una turba di piccoli mercanti che giorno per giorno gli ven¬devano tavole e travi e continuarono per molto tempo. In grazia di questi si potè cominciare le fabbriche e proseguirIe.

Un grave problema era poi quello degli operai e del materiale… « Abbiamo pochi operai e poco materiale, specialmente scarseggiano i mattoni e le tegole… » (3).
E gli operai oltre che essere pigri, infingardi, d.editi all’oppio, « deridevano noi, ci canzonavano, con espressioni di ironia per la cura che ci prendevamo dei lebbrosi… ».

Ed era ben difficile farli lavorare, dove d.ubitavano che ci fosse stato prima un lebbroso.

Oltre queste difficoltà interne, ve ne furono di esterne e ben gravi. A Tatsienlou, vi era il generale Maliusan, maomettano e co-inunista, che anche pubblicamente aveva esposto le sue ragioni con- ;ro la costruzione del lebbrosario. Per farlo tacere il Vescovo e il P. Placido ricorsero anche al Governo Centrale. Ma ben presto venne la sua fine tragica.

A Tatsienlou in febbraio 1932 trecento soldati si ribellarono al detto generale e di flotte a colpi di revolverate lo ammazzarono.

Intanto in gennaio del 1931 avvenne la morte del primo leb¬broso e nessuno lo voile assistere nell’agonia, e tanto meno com-porne il cadavere nella cassa ; il caposquadra degli operai, cristiano, solo dietro promessa di una forte mancia, riusci a indurre alcuni dei suoi dipendenti, pagani e fumatori d’oppio, a seppellirlo ; per il resto tutto dovettero fare i due fratelli inferrnieri, F. Pasquale e F. Giuseppe.

Dopo alcuni giorni si sparse la voce che i religiosi avevano estrat¬to gli occhi e il cuore al morto per farne un medicamento speciale. La sollecitudine dei fratelli infermieri per assisterlo giorno e notte, per essere presenti alla sua morte, l’averlo essi medesimi messe in cassa senza testimoni, l’averlo voluto seppellire tanto accuratamente e coprirlo con un bel cumule di terra e di pietre, tutti questi atti di umanità erano tenuti corne prove del barbaro atto compiuto e che si voleva tener segreto. Ecco perché questi religiosi non temono la lebbra Perché assistono volentieri ilebbrosi ! Sanno ben essi trarne grandi profitti .


Il P. Placido all’inizio rise di queste chiacchiere, nia poi la fac¬cenda divenne seria, e non soltanto da una parte si minacciava di fare rappresaglie, ma anche dall’altra si atterrivano tutti i lebbrosi perché mai and.assero al lebbrosario

P. Placido allora incaricô alcuni cristiani a stare sull’avviso a smeutire se udissero di quelle dicerie, e a notare il nome dei propa-gatori « A capo di una settimana ecco accorrere a me — scrive il P. Placido — tre cristiani e dirmi che allora allora un lolo sulla strada cosi li aveva interrogati : ” È morto qui un lebbroso, non è vero ? ” — ” Si ” — ” Disgraziato, replicô colpi, venire a morire qui (love gli hanno cavato gli occhi e il cuore ! ” — Noi gli abbianro dimostrato la falsità d.ell’accusa, nia non ci credette…

— ” Correte tosto a fermare quell’uomo, dissi loro, e costringetelo a venire da Venne un po’ confuso e timoroso, ma per quanto lo interrogassi non voile fare il nome di chi gli aveva fatto credere quella calunnia ; mi diede perd esattamente il suo. Feci scrivere la querela e diedi ordine ai cristiani di accompagnarlo al Prefetto locale. Ma strada facendo sfuggi dalle loro mari sicché la sola accusa fu presentata al Prefetto. Questi all’indornani venne a trattare con me dell’affare. Dopo avergli esposto la gravità della calunnia e le temute couse- gueuze, gli chiesi una definitiva soluzione con una proposta di in-vitare una commissione e di costringere il lolo a disseppellire il ca¬davere del lebbroso ed esaminare se conservava occhi e cuore, e quindi di infliggere o a noi o ai calunniatori la meritata punizione. La proposta era perentoria e ragionevole ; il Prefetto non poteva rifiutare ; ma corne mand.arla ad effetto ? Chi mai avrebbe accettato di assistere al dissotterramento di un lebbroso in putrefazione ? Noi soli eravarno pronti e risoluti. Il Prefetto torceva il naso, andava ripetendo che una simile prova non era necessaria, che già la calun¬nia era manifesta e che egli avrebbe punito i calunniatori. Fece rintracciare il lolo fuggito, lo conclusse dinanzi a me, a chiedere perdono, e a fare atto di riparazione, e lo puni con una buona multa. La pubblicità della condanna bastô a chiudere la bocca ai calunnia¬tori e a rompere un corno al diavolo » . . .



Il P. Placido non voile abbandonare il lebbrosario, ma con co¬raggio nel mentre mandava sulla montagna a rifugiarsi phi della metà delle Suore, d.ecise di inviare il suo biglietto da visita al co¬mandante delle truppe comuniste per chied.ere la sua protezione per il lebbrosario. Ebbero in risposta che sebbene il comunismo com¬batta la religione cattolica, pure, siccome in questo caso i france-scani compiono un’opera umanitaria, rirnanessero tranquilli. Mal¬grado tutto, il lebbrosario venue invaso, derubato e devastato, spa-rando anche sui lebbrosi. I Padri e le tre Suore rimaste vennero ra¬dunati davanti alla Chiesa, e con i fucili spianati, si vollero costrin¬gere a seguire l’orda comunista. Non cedettero. Incominciarono le percosse ; il P. Placido fu colpito alla testa con il calcio del facile, riportandone una ferita, poi preso da quattro ladroni è trascinato per terra ; e poi di nuovo percosso perché pregava ad alta voce. gati, di notte, sotto la pioggia, vennero cond.otti dal comandante, accolti con insulti dai soldati ; per tutti rispondeva il P. Epifanio. Coule conclusione vennero rimandati al lebbrosario solo le Suore e F. Giuseppe perché infermiere ; gli altri rimanevano prigionieri. Il P. Placido soffriva terribilmente sia per i maltrattamenti avuti, sia per lo strazio avvenuto nella Casa di Dio e nelle Opere Sue. Solo alla sera del 4 giugno egli poté ritornare al Lebbrosario.

« Corriamo tutti sulla strada e vediamo la lettiga che porta il nostro buon Padre ammalato. Quando ci vide le lagrime gli bagua-vano il viso ; anche noi tutti si piangeva. Entrato nel lebbrosario anche i ricoverati gli si fecero incontro esultanti e festanti. Gli si preparô alla meglio un giaciglio e si coricô. Dopo quattro giorni di prigionia, impossibilitato a camminare corne gli altri per l’esauri-mento prodotto dai maltrattamenti sofferti il capo comunista decise di lasciarlo libero perché ritornasse a Mositnien. « Non voglio, gli disse, che gli europei abbiano a dire che i comunisti cinesi sono dei briganti e abbandonano sulla strada vecchi e malati e che li ucci-dono senza ragione ».

Pregato a mettere in libertà anche gli altri due, cioè il P. Epi¬fanio Pegoraro e F. Pasquale Nadal, rispose non essere possibile. Per il loro riscatto consigliô a rivolgersi a Kiang-Kaiscek perché ver¬sasse roo.000 dollari. Ma riflettendo che questo mezzo era per noi troppo difficile : « Voi, soggiunse, siete italiani, scrivete a Mussolini oppure ai Vostri Superiori ». Allora, abbracciati e bened.etti i due che restavano, P. Placidola via del ritorno e con non poche difficoltà potè trovare lettighieri che lo condussero al lebbrosario »

In luglio 1934 arriva a Mosimien il P. Epifanio Pegoraro, e nel gennaio 1935 si inizia la pubblicazione di un foglietto proprio d.el Lebbrosario « Con S. Francesco tra i lebbrosi del Buon Dio », e que¬sto foglietto lo si pubhlica unito al bollettino del Vicariato di Han-kow « Apostait/ta Francescano in Cina » (3). Circostanza questa im¬portante che sempre pid faceva considerare la Missione di Mosimien propria della Provincia di S. Francesco di Venczia, mentre era affi¬data all’Ordine in generale.
In base a cià P. Placido scriverà quasi ininterrottamente prima per avere uno, poi due Padri : « affinché in caso di rnalattia né il lebbrosario né la parrocchia rimangano senza la necessaria assi¬steuza… ».

Poi venue l’invasione comunista ; il P. Epifanio e F. Pasquale vengono portati via… P. Placid.o è solo. E dall’agosto del 1935 fino al dicembre 1936 è un susseguirsi di lettere che non ne puô pid, che aspetta uno, due confratelli, cire gli è un mistero questo ritardo… In realtà in Hankow e in Provincia circolava la voce che era megno chiudere quella Missione cosi lontana e pericolosa… Tanto è vero die alla notizia che vi sarebte andato il P. Luna Costantino, il P. Rossato in una Jettera scritta a Chiampo il 20 aprile 1936 al P. Man-sueto non esità a scrivere : « Cosa è successo ? Non si disse l’anno scorso che forse anche gli altri Confratelli italiani dovevano ritor-nare ? ».

Ma alla fine la tenacia e l’ard ore di P. Placido finirono col trion¬fare. Le sue lettere, pressanti e continue, fatte girare tra i giovani della Provincia, per interessamento sopratutto del Rettore del Col¬legio di Chiampo, il P. Ilario Zord.an, suscitarono entusiasmo e pro-positi efficaci.

Due giovani Padri, Egid.io M. Foghin e Giustino Polo, chiesero ed ottennero di partire subito per soccorrere quel vecchio Missio¬nario rimasto solo. Bisognava superare enormi difficoltà, anche da parte dei Superiori di Roma che non vedevano di buon occhio la partenza dei due giovani niissionari, senza il necessario tirocinio del Collegio preparatorio di Roma. Ma con l’appoggio del suddetto Rettore P. Ilario e del M. R. P. Lino Canton, allora Vicario Pro¬vinciale, le difficoltà furono superate e i due par_ tirono nell’ottobre 1937 alla volta di Shanghai. C’era perô ancora un grande guaio : scoppiata la guerra tra Cilla e Giappone, d.a Shanghai era poi im¬possibile penetrare nell’interno e raggiungere Mosimien.

P. Placido perd pregava, assieme ai confratelli e ai cari Leb¬brosi, e vegliava. La Provvidenza gli venue visibilmente in soccorso. Il P. Charrier Procuratore delle M.E.P. era pure in viaggio di ri¬torno al Vic. di Tatsienlou ; il P. Placido ferma con un cablogramma i suoi due nuovi Missionari ad Hongkong li fà ritornare in Indocina e di là, assieme al veterano P. Charrier, per la via di Junnanfu, Hueli, Nynjan, giunsero a Mosimien. Dopo poco tempo anche quella via veniva bloccata dalla guerra. Ma i due Padri erano a Mosimien, e potevano mantenere in vita la Missione, alla morte del P. Placido (2).

La posizione giuridica della Missione di Mosimien e relativo lebbrosario si cominciô a trattarla per disteso o in punti particotari dal 1937.

Purtroppo che quand° i Frati vennero invitati a fondare il leb¬brosario, una vera convenzione non fu mai fatta, infatti il P. Pla-cido in un colloquio avuto con Mons. Valentin riferirà che questo ultimo : « ricordandomi corne Mons. Giraudeau ci chiese per la fondazione del lebbrosario e ci assegnà la cura della cristianità di Mosimien asseri che non fu fatta una vera converizione e disse, che, se anche si volesse cosi chiamarla, egli non intende avere le main legate, né legarle ai suoi successori… » 

La persuasione che il Vicariato di Tatsienlou aveva avuto una grazia del Signore con l’affidare il Lebbrosario ai Missionari Fran-cescani trovava armai perfetto riscontro nella Provincia Veneta di S. Francesco che considerava a sua volta una grazia grande l’aver data essa i Missionari per il Lebbrosario.

P. Candido Rachelli  o.f.m. (tesi di laurea 1956 auprès du “Pontificum institum missionale scientificum apud pont. universitatem de propaganda fide”)

dmc en la fête de la “miséricorde”,