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P.EPIFANIO PEGORARO – IL CORAZZIERE MARTIRE


Frate – Missionario – Martire: tre parole che mettono i brividi. Non appartengono al vocabolario della natura, ma a quello della grazia.

Frate! Un uomo che rinnega il mondo, ne rifiuta le promesse, rinuncia alla vita: la vita corne la concepiscono tutti gli altri. Insomma, un uomo finito.

Missionario! È presto detto. Ma significa: strappo violenta da quanto si ha di più caro al mondo: la famiglia, il padre, la madre, la Patria ! Significa: condanna volontaria a un perenne totale sacrificio, lentamente consumato, senza testimoni, senza conforti… olocausto ignorato, reso spesso spasmodico da disillusioni più amare dei fiele, da abbandoni clic stringono, il cuore in mortali agonie!

‘Martirel La parola stessa apre subito un orizzonte terrificante: vessazioni, oltraggi, torture,— accettati in silenzio, senza ribellione, senza difesa… Più ancora: accettati con gioia ringraziandone Iddio corne del più ambito regalo, ringraziando i carnefici corne i più gene- rosi benefattori… e sorridere alla corda die vi strozza, al pugnale che vi trafigge, alla mitraglia che vi riduce in poltiglia, alla mannaia die vi squarta, alla vampa clic vi soffoca, vi morde, yi arrostisce, vi carbonizza_ Sorridere!…


Çomunque, è fuor di dubbio che l’Ideale Francescano Missionario, concepito corne totale immolazione’ ed olocausto gioioso al trionifo della più nobile causa — amore di Die e del prossimo . . .

. . .  il suo motto d’ordine: « Deus meus et… Cina! ». . .

. . . suo sogno ideale: « Versare tint° il suo sangue per Iddio: ecco la sua felicità! ». . .

Sacerdote

Premessa la Professione dei voti solenni (17 Aprile 1921), dopo dieci giorni di silenzio, di preghiera e di penitenza a S. Francesco del Deserto, il 30 luglio 1922 — 63 —
nella Chiesa dei Gesuiti, per le mani del Card. Patriarea La Fontaine, Fra Epifanio è insignito del sublime ca_ rattere Sacerdotale: è divenuto Padre Epifanio.. . .

« Sacerdote, Ministro di Dio: è il più bello dei compiti dell’uomo sopra la terra! Trattare con Dio, trattare Dio, fare le veci di Pio, ecco il Sacerdote!
« Tratta con Dio, lo invoca, lo prega a nome suo e della Chiesa, dei fedeli: traita Dio direttamente; pren- dendolo nelle Sue mani dispensandolo ai fedeli, ciban- done se stésso, riponendolo nel Tabernacolo, portail- dolo seco di giorno, di flotte, col vento, colla tempe_ sta, a cielo seren.o, o rnentre imperversa la bufera; pei fnonti, per la pianura, attraverso valli e burroni: dap- pertutto. Gode? e gode con Gesù; piange? e piange- con Gesù; soffre? e soffre con Gesù. Tutto con Gesù… e per Gesù. Ecco la massima felicità del Saeerdote. Fa- re, agire, operare, vivere per Gesù, in compagnia di. Gesù! Nella S. Messa lo tiene fra le sue mani, 11… in- nanzi agli occhi… contempla G-esù. Prega,. piange, sof- fre, gode… Gesù è nelle sue marri— Gli apre il sua cuore… Eeco., o Gesù… il rnio cuore! Apri gli occhi, o anima mia, e contempla la tua felicità…. Quando Ge- sù sarà nelle tue marri, che cosa gli dirai? elle farai? corne ti comporterai?… 0 anima mia contempla… e godi per tanta felicità die ti aspetta. Contempla e godi, Chè qualunque cosa tu faccia — piangi o preghi, soffri . . .


Corne a Dio piacque, il nostro viaggiatore arriva a Lentki, prima stazione Missionaria del Tibet, dista dal Lebbrosario di iMosimien una giornata di cammino.  A Lentki una dolce sorpresa: il caro Fr. Giuseppe Andreata di Vicenza, il prodigioso infermiere dei Lebbrosi, attende P. Epifanio.

Si abbracciano in un silenzio più espressivo di quai¬siasi parola. Il cuore batte forte… La stanchezza è di¬menticata, la gioia fraterna pervade l’animo, e la con¬versazione diventa interminabile. La carità dei Mis¬Sionari del luogo, Padri Le Coro e Valour, corona la (esta dei cuori.

 Bellezze selvagge

 Il. Tibet è uno spettacoloso altipiano che domina l’Asia. Disperatamente aggrappato ad un’altezza media di 14.000 piedi alle catelle gigantesche dell’Himalaja e del Kan-Lun che gli formano con le loro basi, eternamente argentate di neve, un.a cinta inviolabile e., lo solcano con le loro ramificazioni, il Tibet occupa sol globo una posizione unica.

Le montagne si seguono in linea parallela dal nord al sud, e raggiungono e sorpassano talvolta i 6000 metri, mentre i passi variait° dai 4 ai 5000 metri di alitudine. Verso j 4000 si trovano altipiani con pascoli; dai 3500 ai 4000 foreste, e dai 3000 ai 3500, le aile valli coltivate a froment°, orzo, fagioli: derrate clic si trovano perè anche a 5000 metri!

Quattro fiumi attraversano rapidissimi la regione: Jalong, Fiume Azzurro, T’onho, Mekhang.

 I  lebbrosi del buon Dio   « Ciò cihe prima mi pareva amaror mi si converti in dalcezza di anima e di corpo ».  (S. Francesco d’Assisi a contatto, dei lebbrosi).

Là su quell’altipiano, a circa tre chilometri da Mosimien., in un luogo chiamato Otangse, si adagia il. Lebbrosario.

Ma noi però abbiamo un clima mitissimo; poco freddo d’inverno e non troppo caldo d’estate. Uno spettacolo di natura! Eppure in questo si bel luogo vi sono molti lebbrosi! Io ora sono il loro direttore, Cappellano. Confesso, faccio istruzione di religione per convertire quelli che sono pagani e infervorare i e faccio anche il Cappellano delle Suore Francescane che curano i poveri lebbrosi. E’ un vero ufficio misericordia materiale e spirituale!… Se mi dessero un milione, senza scherzo, non lascerei questo posto, dove si può fare tanto bene spirituale a questi poveretti -che nel loro soffrire sono contenti perchè animati dalla f speranza che vi è un’altra vita, il Paradiso, dove termineranno anzi saranno premiate le loro sofferenze. 

Un grande Apostolo

Su questo medesimd altipiano di Mosimien, molti anni prima, ansante, sfinito, s’era rifugiato il P. Giraudau delle Missioni estere di Parigi, cacciato da Batang.
Nelle sue peregrinazioni tra i Lolo, s’era incontra- to spesso in infelici lebbrosi che in isfacelo, rifiutati da tutti, vagavano per i sentieri della montagna in cor- ca di un tozzo di pane, sempre incalzati da un odio che li voleva bruciati o seppelliti vivi, quando non li
niva il veleno o il. torrente.

Diventato Vescovo e Vicario Apostolico di Tatsienlou, Mons. Giraudau pensè a un Lebbrosario in questa città, ma avversato dalle autorità, non potè costruirvi se non un Dispensario, un Ospedale e un Orfanotro- fio, chiamando vicino a sè le Suore Francescane di Ma- ria, le grandi infermiere dei lebbrosi. Era il 1918.

Per tanti disgraziati ciè non pareva neppur vero e di flotte, contro il divieto militare, arditamente, arri- schiando qualche fucilata, scendevano in città, sfiniti dal bruciore delle piaghe, dal freddo e dalla faine, a chiedere a quei nobili cuori un sollievo, una buona pa- rola. Una vera lebbroseria s’imponeva. E l’occhio si posa sul pacifico e remoto villaggio di Mosimien a una ventina di chilometri da Tatsienlou, dove tanti anni prima il missionario fuggitivo aveva fondato una piceola fiorente cristianità. Per la realizzazion.e della gran- de opera, egli terziario Francescano — si rivolse ai figli del grande amico dei lebbrosi, S. Francesco d’As- sisi.
La Provvidenza li aveva già scelti…

Pionieri

Da Han-Kow ne! 1928 era’ venuto in Italia il vecchio Francescano P. Placido Albiero, antica – allievo del Collegio Serafico di Chiampo, superiore più tardi, dell’annesso Conventino, da lui stesso ampliato.

Dopo parecchi anni di stenti e tribolazioni nel- – la missione cinese, era rientrato in Italia per cu- rarsi la salute. Senonchè, recatosi a Roma, fu invitato dai Superiori dell’Ordine ad assumere la fondazione del Lebbrosario ideata dal venerando Vicario Apostolico del Tibet.

L’intrepido Francescano accettô senz’altro. Ma pensè subito che, se per le costruzioni materiali e per l’anime dei lebbrosi bastava con qualche compagno; era indispensabile un provetto infermiere disposto a rnettere la sua esistenza allo sbaraglio per curare i corpi invasi dal germe della fatale malattia. Anche a questo aveva già pensato la Provvidenza.

Da appena pochi mesi viveva ne! Vicariato di Han Kow, a Pecien, frate Giuseppe Andreata di Vicenza, già irtfermiere nel convento di S. Michele in Venezia, recatosi laggiù per mettere a disposizione della missio- ne la sua abilità e il suo cuore.

Era aile prese con la dura lingua cinese, assistito fraternamente dal P. Epifanio, quando si senti chia- mare da P. Placido. La risposta ft immediata e affermativa.


Il 5 Febbraio 1930, quattro Francescani, P. Placido Albiero, P. Barnaba Lafond, canadese, Fra Giuseppe Andreata e Fra Pasquale Nadal, spagnolo, movevano da Han-Kow.

La spedizione Francescana corne la chiamava il Delegato Apostolico Mons. Costantini era guidata da lui stesso. La Chiesa di Roma è sempre maestra di civiltà, madre feconda di carità!

A Ta-sien-bu — quartiere generale — la spedizione si accampa, per l’elaborazione dei piani. Padri delle missioni estere, Padri Francescani, Suore, appaltatori, legnaioli, muratori, tutti hanno percorso moite volte l’agreste sentier° che sale e discende per risalire ancora travers° a deserti, a foreste, a montagne, a torrenti fino a Mosimien. La presa di possesso da par- te dei Padri condotti da Mons. Valentin, coadiutore del Vicario Apostolico, avvenne nel Maggio 1930.

Il P. Placido, che nell’arte edilizia non è un novellino, funge da architetto, direttore e capomastro; ma si puô ben immaginare corne i layon i potessero procedcre rapidamente lassù dove cake, pietre, travature dovevano essere trasportate a spolia d’uomo. E intan-to gli sventurati bussavano alla porta. P. Placido risolve il problema.


Il lebbrosario in funzione

I Pagani, usi a guardare con orrore i lebbrosi, servavano con stupore corne casa strana e inconaprensi- bile, die degli europei tanto si abbassassero fino a farsi: servi dei lebbrosi e li provvedessero premurosamente più che se fossero stati loro fratelli. Spesso -gli stessi operai lanciavano motteggi e d_erisioni a fr. Ç-iuseppe e a Fra Pasquale. Ma un po’ alla volta i motteggiatori anainutoliscono e diventano aramiratori. La lama si spar- ge all’intorno e gli stessi pagani hanno parole di iode per i caritatevoli europei.
Chi ne profittava di più erano gli infelici lebbrosi, » elle la carità di Cristo sollevava nel corpo e guariva nell’anima.
« Con la grazia di Dio e un po’ di buona volontà » •—, per usare una sua caratteristica espressione — fr. Andreata è diventato il braccio destro del P. Placido. E riconosceva j suoi chenu. Li aveva incontrati nelle sue scorribande sulle montagne cireostanti, dove era andato a scovarli per prestare la sua opera di carità a
cioè negli antri o in qualche stamberga inac. cessibile, dov’erano rintanati corne lupi. Bisognava sal. varli almeno nell’anima.

A Tat – Sien – Lou

Era doveroso un atto di omaggio al suo nuovo superiore ecclesiastico, Vicario Apostolico, residente a Tat-sien-lou, ora Tang-Ting. Compagne di viaggio Fr. Giuseppe. Il primo giorno dopo un’ora di marcia li sorprende la pioggia, e la via si allunga a causa di frane e dei torrenti ingrossati. Sul far della sera, stan- chi e bagnati, entrano in un alberge… una stalla ca- dente, che ai due Francescani sembra una reggia!

Il giorno dope valicata e discesa la montagna (4100 metri) eccoli alla rneta. Mons. Giraudau abbrac- cia commosso il nuovo missionario: un atleta clinanzi ad un intrepido generale d’armata del Vangelo.

Il Vescovo tocca gli ottantaquattro anni dei quali 56 di missione. Vi giunse nel 1878 e non rivide più la sua Patria. Le gambe spossate dai faticosissimi viaggi non gli permettono più elle brevi passeggiate entre la sua modesta residenza episcopale; ma la fibra è robusta, lo sguardo autorevole, la parola scultoria, il gesto vi- vace; la mente è lucida e il cuore dell’Apostolo batte ancora energicamente, bramoso di nuove conquiste.

-La presenza del frate gigante — offertosi al Leb- brosario dà al suo sguardo lampi di gioia. Il Leb- brosario — fra le innumerevoli opere missionarie da lui fondate è la pupilla degli occhi suoi, il centre) del suo cuore, la corona d’oro della sua carità, il più bel monument° del suo zele apostolico. 

Gli amici

Il P. Barnaba Lafond aveva lasciato il Lebbrosario. Successogli P. Epifanio, questi ebbe mansioni ben definite: Cappellano, confessore, predicatore„catechista, istruttore di canto, decoratore, ecc. ecc.

Il superiore della casa, P. Placide, oltre alla direzione generale dell’opera, disimpegnava anche gli oneri di Parroco di Mosimien, rimasta senza pastore per la morte del compianto P. Ménard.

S’avvide subito die il compagno, inviatogli dalla Provvidenza, diventava là clentro il direttore d’arche, stra, e ne fa lietissimo. Contente le Suore; contenti fratelli Giuseppe e Pasquale, ai quali s’era aggiunto Fra Nazario; più di tutti, contenti lebbrèsi, che nel Padre .Epifanio, buono, paziente e giulivo, avevano trovato un amico generoso dal cuore materno. Compa- riva sempre sorridente in mezzo a loro, li faceva ridere, .cantare, pregare…

I buoni diventavano più buoni, i più restii cede- vano, qualche ribelle (è meraviglia che ce ne fosse ta._ lino?) si ammansiva.
Le conquiste Si susseguivano. Ai già battezzati e divenuti ferventi cristiani e i migliori perfino terziari di S. Francesco, se n’aggiungeva sempré qualche altro. Ma tutto questo senza sforzo e violenza, ma con spontaneità, corne frutto che matura da sè, mediante il segreto lavorio della grazia, sotto il cabre trionfante della carità.

Per condurre quei morti a questo punto iniziale di vita, Padre Epifanio si serviva di tutto: del canto, del suono, della predica, della conversazione, del ci-
nema, della macchina fotografica; e per la vittoria• moltiplicava la preghiera e offriva sè stesso
olocausto all’Eterno.
Di fronte a Budda, simbolo sornione di squallore e barbarie, la carità di Çristo ha acceso nel cuore del- l’Asia un fuoco illuminante e vivificatore. La religione è civiltà. Gli Ispettori seolastici, inviati dal Governo di Nankino, dopo visitato il Lebbrosario, espressero con parole di entusiasmo la loro ammirazione per « l’ opera altamente filantropica della religione cattolica ».

Il segreto

Un profondo teologo mistico ha scritto queste pa- role: « Ogni peccatore quaggiù soffre cd ogni uoino- è peceatore. Ma se vi fosse un uomo clic non avesse mai peccato, un vero giusto, io credo che, sicconae la sua giustizia non sarebbe che un immenso amor di Die e degli uomini, diverrebbe un’immensa passione di sof- frire per espiare in sè il peccato c, se gli fosse possibile, riscattare i peccatori ». (1) (1) GAY: La vira di unione con Gesù pag. 161.

Partendo di là — Pabbiamo veduto — fosse o non fosse — si riteneva carie() di peccati, e si mise in viaggio verso il Lebbrosario allo scopo « di scontare con la lebbra net corpo la lebbra morale dei peceati dell’ani- ma rob… »:
Una volta arrivato al posto del suo « ideale», quest’anima diventa vittima di un’immensa passione: soif rire per espiare in sè il peccato, e riscattare i pec- catori. E tutto ciè perché l’anima della sua anima « è un’imnien,so aniore di Dio e degli uomini »…

Qui mi trovo come in Paradiso per l’anima mia. Sento die il mio cuore va subendo attrazioni verso una vita meno terrena. Il dolore de’ miei peceati e la volontà ardente di divenire un Giobbe per le anime è costante. Gli attacchi del cuore, per quarito vedo oggi, mi pare di averli sacrificati Mi pare troppo lene il sacrificio -qui nel Lebbrosario, e qualche volta alla sera sento un po’ troppo la stanchezza che mi oh- bliga a trovare il letto presto: eceo due cose che mi seccano e non mi appagano del tutto.

Ho ancora un po’ di apprensione per predicare aile Suore in francese, ma ciè cesserà col ripetersi dell’esereizio. Ora sto pitturando ossia decorando la Chie sadel Lebbrosario… Un lavoro lungo e fatieosetto, ma non vedo l’ora ehe termini per darmi con più libertà alla intensificazione della vita cristiana tra i Lebbrosi… Ve ne sono veramente di anime belle ed eroiche!

Voglio. tanto bene a questi poveri lebbrosi!… cd essi ancora me ne vogliono tanto tanto. Ogni giorno vado a tro- varli, a rallegrarli, e tutti mi vedono sempre con fe- sta… Sentono e dimostrano di capire che sono amati!…

Mons. Valentin, non nasconde la sua contentezza. Quale trasformazione lassù in appena quattro anni! Otangse — luogo triste e squallido — si era tramutato in un giardino di pace, in un santuario di vita cristiana. Vede con gioia alcuni lebbrosi con le divise del Terz’ordine Francescano: anche lui è Terziario; e approva incondizionatamente il metodo di assistenza spirituale e materiale verso i poveri lebbrosi tenuto da Padre Epifanio, dai fratelli infermieri e dalle Suore. Ha parole di lode per i lavori d’intaglio compiuti da Fra Pasquale, e soprattutto si compiace col P. Placido, artefice infaticabile dell’opera santa e Pastore zelante e saggio della Parrocchia vicina.

Ora i disperati donne, ragazzi — non imprecano, non odiano, non bestemmiano… Più ancora: pregano, cantano, sorridono… Più ancora: aman la sofferenza… Benedicono Dio per ogni piaga, per ogni traffittura, per ogni fa- lange che si stacca dai piedi, dalle mari… Lo ringraziano che li ha fatti lebbrosi… Vogliono amare il Si- gnore corne lo amava S. Francesco d’Assisi… E dal- l’anime santificate e dai corpi sfatti è dall’olocausto dei morenti è un inno al Padre che è nei Cieli, una prece per la salvezza dei sani, un’ondata di incenso odoroso che sale dal lezzo Lebbrosario al trono di Dio,’profumato corne quello che saliva un giorno dalla Divina Vittima del C:alvario. Ecco il prodigio dell’Amore.


Nella Pasqua del 1935 — l’ultimo Pasqua di lui — P. Epifanio lancia il suo messaggio: « Alleluia Campane in festa, inni di giubilo, canzoni di gloria, ceri ardenti, splendori di flamme, volute d’incensi, cuori esultanti… perchè? E’ Pasqua, è la Risurrezione: si levè da morte il Cristo mia speranza, che me, voi e tutti chiama nell’eterna Risurrezione: tutti, anche quelli che pure fatti per l’immortalità beata, alla Luce eterna avranno preferito le tenebre…

« Ti piace la Pasqua? chiedevo a un caro figliuolo lebbroso. — Tanto, Padre. — Perchè? Ce l’hai detto tu: Anche noi risorgeremo senza lebbrà e tutti corne Gesù… ».
Il Vescovo, visitato il Lebbrosario, aveva confidato che « qui al Lebbrosario si sente e si vive la famiglia: la pace e la lieta armonia attenuano, quasi celandolo, l’orrore dei morbo; è un mondo risorto ».

 E il Padre raeconta la storia del Lebbrosario, came l’aveva saputa dal Superiore.

— Quando noi ricevemmo l’inearico di fondare questa opera, pensavamo di chiamarla « Lebbrosario di San Francesco ». Ma il Venerando Vicario Apostolico di Tatsienlou — il vero padre della fondazione — aveva già decretato di dedicarlo a S. Giuseppe. Dunque « Lebbrosario di S. Giuseppe ». Ma che cosa avvenne?
Una ricca e eristiana famiglia d’Italia — Co. Costa di Polonghera (Torino) aveva una figlia carissima tra le Suore Francescane Mlissionarie di Maria. Costei, giovanissima aneora, bella e pura corne un angelo, era volata in Cielo. Che pensarono allora i piissimi genitori? Donarono tutta la loro sostanza disponibile al Lebbrosario di Mosimien, perchè fosse ricordata in perpetuo l’amata figliuola, Suor Maria Paola. Ma le leggi governative non permettevano quel titolo, e allora, col consenso dei Conti Costa, il Vicario Apostolico lo dedicè alla Consolata ch’è la Patrona gloriosissima della città di Torino. Cosi la dolcissima Madre Celeste, s’insediè nella sua bella immagine in mezzo ai figliuoli che più di tutti hanno bisogno di conforto. 

  La Provvidenza vegliava e provvedeva in maniera impensata. Ma una cosa è scomparsa: la gioia. Anche i lebbrosi… « Questi infelici sono qui con noi — afferma il P. Superiore — ma hanno perduta quella letizia clic solo P. Epifanio sapeva dar loro » (a D. Felice Penzo 12 Settembre 1935). Si prega per i. poveri prigionieri… ogni giorno la Via Crucis è percor- sa per .loro… Tutti gli occhi s’interrogano reciprocra- mente; ma.., quel nome non si ha più coraggio di pro- nunciarlo!…

Nel cuore di tutti si è Latta un gran vuoto, corne quando in una casa viene improvvisamente a mancare la mamma. Lo stesso P. Placido non trova più pace e spesso è sorpreso a piangere…

Dopo il suo ritorno, tre volte mandè dei cursori al P. Epifanio; nia nessuno lo raggiunge o perchè soldati non Ii lasciano passare o perché i eomunisti non. permettono a un estraneo di entrare. nei loro accampamenti.

 Il 12 Marzo.!936  il Segretario Generale delle Missioni dei frati (Minori comuniea al P. Provinciale di 5. Michele di Venezia che P. Epifanio e fra Pasquale sono ancora in vita e si trovano tra i comunisti vicino a Jachow n.ella Provincia del Szechwan. I comunisti si servono di essi per curare i loro ammalati e feriti. Dal Shensi nell’aprile del 1937 un Missionario italiano scrive che tra i comunisti in Jen-anfu vi erano due europei, uno dei quali altissimo. Liberamente uscivano per la città sempre scortati da quattro soldati…

Più tardi la speranza svanisce: i due europei non erano religiosi, ma secolari: il più alto, medico. Nel maggio dello stesso anno ancora notizie, ma contradditorie… Tutti perè trovano incomprensibile che i prigionieri non abbiano mai potuto farsi vivi in nessuna maniera.

Pare che il Governo di Nankin° non si sia interessato efficacemente per la liberazione dei due, nonostante le forti pressioni del R. Governo Italiano. Anche l’Ecc. Co. Ciano —che conosceva e stimava il Padre Epifanio inviè una lettera al Generalissimo Cian- Kai-Scek; ma senza risultato.

 Autore dell’articolo è il dotto P. Urbano Devescovi, fondatore e direttore della rivista, già maestro spirituale e insegnante di Teologia del martire nel convento di S. Michele in Isola (Venezia), poi Missionario in Han- Kow, Professore nel Seminario Regionale di quella Missione.

Lo riportiamo quasi integralmente.

« Sono ventisei mesi di lotta col cielo e con gli uomini per ottenere la liberazione o almeno -una notizia sicura sulla sorte di P. Pegoraro e del suo compagno fra Pasquale Nadal dei Frati Minori, caduti prigionieri dell’armata comunista del Mao-tze-Tung a Mosimien il 29 Maggio 1935.

« Griterati interventi della nostra Ambasciata Shanghai presse le autorità cinesi non fruttarono se non assicurazioni da parte del Governo cinese di oc- cuparsi del caso. Itprezioso interessamento del Ministro G. Ciano presse il Generalissimo Çiang-Kai-Shek non ebbe fluera migliore risultato.

« Fino dai primi giorni della cattura Mons. Vicario Apostolico di Tatsienlou e il Rev. P. Placido si occuparono attivamente col mezzo di bravi cristiani die poterono avvicinarsi all’esercito rosse e fare ri- cerche. Si ebbero cosi notizie celle clic i due prigionieri erano trattati bene cd erano adibiti a servizio di as- sistenza ai feriti e malati comunisti: P. Pegoraro cam- minava a piedi nudi e mostrava un aspetto fiorido e contente. Avuta questa notizia sicura, si lavorè per arrivare a un contatto più o meno diretto coi due con- fratelli; ma da quell’epoca (cd eravarno sul trament° del 1935) tutti gli sforzi riuscirono inutili e per un lunghissimo anno nessuna nuova, per quant° vaga ci fa data di sapere. La spiegazione sta nel fatto che Parmata comunista dalle contrade di Jachow a grandi giornate si portà nelle regioni settentrionali del Sze- ch-wan e di là dilagè nella Provincia di Kansu. La via da essa battuta attraversa flua zona deserta, dove centri abitati distano qualche centinaio di chilometri une dall’altro. I Rossi potevano abbandonarsi ad ogni vessazione sui bore ostaggi senza temere nessun testi- monio del silenzio ferale del deserto. Noi potevamo moltiplicare richieste su richieste, chè il de- serte non poteva rispondere.

 Fu cosi che une di essi, il Padre Antonio Sie, potè avvicinare uno dei Capi comunisti di Yenganfu e pregarlo di fornirgli le desiderate notizie.

« Il capo promise che ‘avrebbe subito parlato con il generale Mao-Tze-Tung e che gli avrebbe data risposta per telegramma. In effetto, dopo qualche giorno, le stesso generale telegrafa al dette Padre cosi: « E’ vero che a Mosimien furono catturati due Missionari europei, ma siccome essi non potevano seguire le marcie, furono abbandonati ».

Oh quanto fosca è la luce che queste parole projettano sulla sorte dei due poveri Francescani! Nel gergo comunista sono un eufemismo e vogliono dire: Li ab¬biama lasciati morire, oppure: Li abbiamo uccisi.

« Animè, un dubbio angoscioso fa pensare ad una realtà amarissima. Corne avrebbero potuto quei due poveri Frati (Fra Pasquale di oltre sessanta anni e Padre Epifanio sui quaranta) trovare energie bastevoli per seguire un’orda rapace, costretta a marcie lunghe e forzate, attraverso regioni o montuose o deserte e
durare in questo supplizio per due anni? Chi sa dire le privazioni, i patimenti, la fame, il gela, le fati gli stenti di questi ostaggi infelici? E i dolori morali chi li pue) esprimere?

Preci e fiori

 La parrocchia natale dell’eroe con accorata passione assistette in massa all’estreme onoranze il 12 dicembre  1937 e lesse col piani° nel cuore la magnifica epigrafe: « Crista! il tuo Re — Carità! il tuo eroismo — Civiltà! la tua insegna  – Anime! la tua passione — Lebbrosario! la tua patria – Martirio! aspirazione di tua vita — PADRE EPIFANIO PEGORARO ti trovarono degno della corona — Araldo di fede e di civiltà – Hai offerto la tua vita e la tua morte — Senza paura e senza rimpianti — La tua è una pagina di sangue scritta per la Chiesa e per la Patria  – Martire del Tibet — Mosimien – meravigliosa giovinezza — che profuma di speranza gli altari — dormi in pace. — La tua non è una caduta o morte — ma risurrezione e vita.


Due di loro non si accontentano di seguirlo spiritualinente. P. Egidio M. Foghin e P. Giustino Polo supplicano e ottengono di sostituire il Martire al Lebbrosario. Il sangue cristiano è sempre fecondo!…

 Martire…

Il laconico telegramma di Mao lasciava sufficientemente capire la luttuosa realtà: morti!… Ma corne? Dove? Quando?
Nessuno sapeva rispondere.
Il dramma era ancora avvolto nel mistero. Quando nel Settembre 1940 — dopo cinque anni!

— il Vicario Apostolico di Tatsienlou riceve una lettera die fa un po’ di luce.
Il R. P. Charrier, Missionario nello Shezchwan, seriveva che casualmente era venuto a conoscere alcuni particolari della morte dei due eroi. Attestava di averli appresi da un cristiano che, a sua volta, li aveva uditi da uno che era stato presente al loro martirio; di quest’ultimo si sapeva il nome e il luogo di dimora.

« Furono decapitati nel mese di Dicembre (1935), a duecentodieei ly (circa cento chiloinetri) sopra Monkong, nella località di Liou-Lo-Keou. La testa di uno e il corpo dell’altro caddero nel vicino torrente. Quel tale narra che lu visto un vecchio scavare una rossa, raccogliere i santi corpi e pietosamente seppellirli ».
La notizia suscitè dovunque la più profonda commozione.

Il Superiore del Lebbrosario scrisse subito al P. Charrier sollecitandolo a intensificare le ricerche delle reliquie dei Martiri. « Queste sacre ossa saranno la nostra bandiera, saranno il pegno più sicuro del nostro attaccamento a questa lembo di terra, al caro Lebbrosario, ai carissimi Lebbrosi, a tutta la valle di Mosimien ».

Testuali parole del P. Egidio-Maria Foghin.
La notizia data dal P. Charrier è stata cd è tuttora ritenuta esata.

Il suo stile lapidario è d’una tragica eloquenza. Uno stesso crimine nefando chiude una nefanda serie di delitti, e corona un’intera esistenza di nobili gesta; sprofonda nell’eseerazione il carnefice rosso, ed esalta sul- l’altare dell’ammirazione la Vittima sacerdotale; appaga con un altro fiotto di sangue la belva, e placa e sazia 205
la tormentosa sete dell’eroe, e n’entre coll’eufemistica parola abbandonati — da tradursi decapitati — l’abbo- minevole tiranno intende chiuso l’incidente, proprio per cotesta medesima parola si apre una nuova storia: la storia d’un astro novello comparso a splendere nel ciel° della Chiesa e della Civiltà Cristiana.

Estratti tirati di « IL CORAZZIERE MARTIRE » (P EPIFANIO PEGORARO OFM) – autore : DI CASTELVECCHIO – alias TITO CASTAGNA – editore collegio serafico Chiampo – 1942

dmc en la fête de Saint François d’Assise 2015

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